1946, persecuzioni senza fine: nuove aggressioni contro gli ebrei scampati alla Shoah

di Redazione - 1 Dicembre 2025 alle 10:13

Questa settimana racconteremo dei pogrom che insanguinarono l’Europa orientale e il mondo arabo – sia prima, sia dopo la guerra -, del rifiuto degli Stati occidentali e del blocco imposto dal Mandato britannico. Non si trattò di episodi marginali, ma di eventi che vanno inquadrati in un preciso contesto storico, necessario per comprendere perché, dopo la liberazione, gli ebrei non “tornano alla vita”: prima dovettero trovare un luogo in cui la vita fosse consentita.

Il 1946 costituì un nodo decisivo per la storia del dopoguerra ebraico, con l’espressione di violenza antisemita che si riallacciava a quella degli anni precedenti e che mostrò con chiarezza una verità spesso rimossa. I sopravvissuti non incontrarono un mondo disposto ad accoglierli, ma un panorama di ostilità che si manifestò contemporaneamente in più regioni.

Fra il 1945 e il 1947, in diverse aree dell’Europa orientale, gli ebrei scampati o sfuggiti alla Shoah, si trovarono esposti a nuove aggressioni. Non si trattò di episodi isolati, ma di segnali precisi che mostravano la continuità diffusa dell’antisemitismo storico. Accanto a questo, altri fattori in gioco: dal timore della giustizia per i crimini commessi negli anni precedenti alla volontà di tenersi i molti beni sottratti. Tutto si innestava su una lunga tradizione antisemita, che fu utilizzata strumentalmente da partiti comunisti che avevano la necessità di radicarsi nella legittimità popolare. Nello stesso tempo, e con una scansione temporale sorprendentemente vicina, gli anni del primo dopoguerra e fino al 1948 furono segnati da pogrom e violenze anche nel mondo arabo e islamico: dalla Tunisia all’Iraq, fino alla Siria, allo Yemen e alla Libia e nei territori del Mandato britannico. Questi fenomeni nacquero da contesti politici autonomi, segnati da crisi coloniali, nazionalismi emergenti e tensioni antiebraiche che precedevano e seguivano la Seconda Guerra Mondiale.

Dopo la guerra, quasi nessun Paese occidentale fu disposto ad accogliere gli ebrei sopravvissuti. Non gli Stati Uniti, sebbene da sempre aperti all’immigrazione. E nemmeno il Canada o l’Australia. Un contesto dove l’unico luogo percepito come possibile approdo – la Palestina sotto Mandato britannico – rimase chiuso dal Libro Bianco del 1939, che limitò drasticamente l’immigrazione ebraica proprio quando era più urgente.

È in questo intreccio di violenza e rifiuto che si ingigantì ancora di più il dramma vissuto dagli ebrei, un popolo sopravvissuto che non trovava né sicurezza nei luoghi in cui aveva abitato, né accoglienza negli Stati occidentali, né accesso alla Palestina. Ne derivò una consapevolezza nuova, che attraversò le comunità nei campi e nei luoghi di transito: non era possibile ricostruire la vita restando dove ci si trovava.

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