Le ragioni di Israele
7 ottobre: l’Europa che prende le distanze, il riafforire dell’antisemitismo e la propaganda social
di Niram Ferretti - 7 Ottobre 2025 alle 10:15
Cosa ci dice oggi, nel suo secondo anniversario, il 7 ottobre? Diverse cose, nessuna consolante. La prima riguarda lo status morale e culturale dell’Europa. Dopo l’iniziale shock, lo sdegno e la condanna, l’Europa, soprattutto quella occidentale, ha iniziato velocemente a prendere le distanze dalle ragioni di Israele, dalla sua necessaria risposta all’eccidio subìto. Lo si è accusato, come al solito, di reazione sproporzionata, e l’accusa di genocidio si è presto fatta strada nel sentire collettivo come la più appropriata per definire la sua azione a Gaza. Francia, Irlanda, Regno Unito, Spagna, Portogallo e Slovenia hanno riconosciuto lo Stato palestinese, un atto simbolico che ha di fatto consentito ad Hamas di rafforzare la propria posizione contrattuale, come hanno dichiarato suoi esponenti.
La seconda questione riguarda il riaffiorare dell’antisemitismo, il suo sdoganamento come legittima e giustificabile reazione ai “crimini” israeliani. Finalmente, dopo 80 anni di compianto istituzionale sulle vittime della Shoah, di senso di colpa formalizzato, in Europa, in molti hanno potuto provare l’ebrezza di liberarsi da questo fardello. Si può affermare, senza più doversi vergognare per l’oscenità del paragone, che gli ebrei sono diventati come i loro carnefici nazisti, suscitando approvazione.
Il terzo elemento riguarda la velocità con cui la propaganda è riuscita a propagarsi e a condizionare in modo strutturale l’opinione pubblica. Internet e i social network hanno permesso un salto di qualità impensabile soltanto venti anni fa nel diffondere, con ritmo martellante, notizie tendenziose o del tutto false. L’accanimento della demonizzazione a cui è stato sottoposto lo Stato ebraico in questi ultimi due anni non ha precedenti storici per intensità e violenza. Per la prima volta abbiamo assistito a un esperimento sociale di distruzione programmatica della reputazione di uno Stato, giunta all’acme con l’esplicita dichiarazione reiterata della necessità di farlo scomparire. Il genocidio che Hamas avrebbe voluto mettere in atto il 7 ottobre, se avesse avuto i mezzi di realizzarlo, e che è annunciato nero su bianco nel suo Statuto del 1988, è condensato nello slogan urlato e proclamato nelle piazze, nei teatri, sui palchi di eventi musicali: “Palestina libera dal fiume al mare!”.
Il quarto fattore concerne gli ostaggi. La loro sorte, la loro atroce condizione di prigionia, è stata presto sostituita dai massmedia da numeri inverificabili dei morti civili a Gaza, soprattutto quelli dei bambini. Bisognava dimenticarli, per concentrare tutta l’attenzione ossessivamente sulle vittime palestinesi, sul “genocidio”. In contemporanea si è giunti a minimizzare o addirittura a negare l’entità delle atrocità perpetrate da Hamas il 7 ottobre. In questo modo si è sadicamente – e in modo compiaciuto – potuto dare sfogo all’antisemitismo, latente o manifesto, che non si è mai estinto nelle nostre società.
Tutto ciò, oggi che del 7 ottobre ricordiamo il tragico anniversario, mentre gli ostaggi sono ancora trattenuti in cattività da un feroce branco di criminali, ci dice il livello di smarrimento, confusione e vulnerabilità in cui versano molte democrazie. Che Israele possa, alla fine, riportare a casa vivi gli ultimi ostaggi, che riesca a fare in modo che Hamas non abbia più il controllo di Gaza (esito ancora incerto), non suturerà la profonda lacerazione a cui abbiamo assistito e a cui stiamo ancora assistendo. Un’ipoteca sul nostro presente, un’ipoteca sul nostro futuro.