L'anniversario
80 anni fa la strage di Tripoli, il crudele pogrom (dimenticato) sulla pelle degli ebrei in Libia
di Ruben Della Rocca - 4 Novembre 2025 alle 13:44
Era il 5 giugno 1967, una data che ha cambiato per sempre la storia del Medio Oriente e del conflitto arabo-israeliano. Era il giorno in cui l’esercito israeliano, reagendo alle continue minacce del leader egiziano Nasser, intraprese una delle campagne militari più brevi e cruenti nella storia delle guerre in ogni epoca.
Il conflitto del 1956 tra Israele e i suoi nemici, il secondo dopo la non accettazione degli Stati arabi della nascita del nuovo Stato e la conseguente aggressione del 14 maggio 1948 e la prima guerra, avevano lasciato contenziosi aperti. Le settimane che avevano preceduto il conflitto furono segnate da scontri di frontiera tra Israele e Giordania e dalla mobilitazione egiziana, su indicazione dell’Unione Sovietica, con la quale Gamal Abd al-Nasser ordinò alle sue truppe di occupare le posizioni Unef, la Forza di emergenza delle Nazioni Unite a Sharm el-Sheikh, e di conseguenza di bloccare il traffico mercantile sugli stretti di Tiran.
Mentre le fonti del Cairo e di Damasco davano per imminente la fine del “regime sionista”, Israele sferrava un attacco aereo a sorpresa su larga scala che le consentì – nei primissimi giorni del confronto militare – di avere la supremazia totale dei cieli e di portare a termine le operazioni con un successo clamoroso, che le permise di conquistare e riunificare Gerusalemme, dichiarandola Capitale, insieme all’intera Cisgiordania. Sul confine siriano, Israele strategicamente conquistò le alture del Golan in una vittoria militare che ancora oggi le consente di mantenere la sicurezza rispetto alle continue minacce in arrivo dalla Siria.
Intanto, mentre nelle città israeliane si gioiva per quello che era stato un trionfo bellico senza precedenti, nelle Capitali arabe il senso di disfatta e di frustrazione era cocente. La vita degli ebrei nei Paesi musulmani non era mai stata tranquilla, e nei secoli si erano alternati momenti sereni ad altri di repressione e violenze. Tra i momenti più tragici, un pogrom di inaudita violenza avvenne a Tripoli il 4 novembre del 1945, nel quale vennero uccisi 132 ebrei libici in seguito all’assalto dell’orda musulmana della Hara, l’antico quartiere ebraico della città. Fu quello il modo arabo di ricordare agli ebrei la propria contrarietà riguardo la Dichiarazione Balfour della quale ricorreva l’anniversario, il 2 novembre 1917. Tumulti scoppiarono anche in Egitto negli stessi giorni. Nel giugno del 1967, poi, con la Guerra dei Sei giorni avvenne l’irreparabile.
Le folle arabe al Cairo e a Damasco, ad Amman e a Tripoli, nello Yemen e in Iraq, diedero vita a scorribande nei confronti dei concittadini di religione ebraica. Mentre i bollettini di Radio Cairo con toni trionfalistici annunciavano, mentendo, la disfatta di Israele, le masse locali cariche di odio verso gli ebrei si riversavano nelle strade dando loro la caccia. Soprattutto in Libia la situazione divenne drammatica e incontrollabile. In poche ore venivano sbriciolati 1.500 anni di convivenza tra musulmani ed ebrei in quelle terre. Per gli arabi, la “questione ebraica” andava risolta in quel momento. Secoli di storia, di cultura, di tradizioni, di odori e di sapori venivano spazzati via dalla furia che costrinse gli ebrei libici a rimanere nascosti nelle case, in un silenzio totale, per non farsi sentire dai vicini pronti con le delazioni a tradirli e a farli catturare.
Quanto tutto questo ricorda da vicino la storia della famiglia Frank, della giovane Anna e della soffitta di Amsterdam durante l’occupazione nazista dell’Europa? Fu solo la saggezza di Re Idris, monarca illuminato che protesse i suoi ebrei, a permettere a questi ultimi una precipitosa fuga dal Paese, ognuno con 50 sterline libiche in tasca e una valigia con poche cose da portare via. I beni, frutto dei sacrifici di una vita abbandonati, in tutta fretta, confiscati e usurpati, mentre il sangue ebraico scorreva nelle strade di Tripoli e delle altre città arabe.
L’Italia fece la sua parte e aiutò gli ebrei in fuga grazie a un ponte aereo salvifico dell’Alitalia. I profughi vennero accolti in appositi campi a Latina, e in molti casi aiutati dalle comunità ebraiche italiane, Roma su tutte, grazie all’opera meritoria del Rabbino Capo di Roma, professor Elio Toaff. Gli ebrei tripolini si unirono agli ebrei di Roma, che si prodigarono per loro dando vita a un’unica grande comunità, esempio di integrazione e capacità di assorbimento tra usi e costumi diversi, ma uniti da un grande cuore e da sentimenti che li accomunano ancora oggi. Tutto ciò non cancella il dramma vissuto dagli ebrei nei Paesi arabi, le persecuzioni subite dal 1948 in poi e deflagrate nel 1967, l’esodo forzato di quasi un milione di persone sradicate dalle proprie radici. “Quel modo così arabo di essere ebrei che avevano gli ebrei di Trablous…”, scriveva l’immenso Herbert Pagani nella sua “Lettera aperta al Colonnello Gheddafi” del 1987. Si potrebbe definire una “Nakba” ebraica.