Perché Marwan Barghouti non è il Mandela palestinese

27 Ottobre 2025 alle 11:57

L’articolo di Stefano Piazza analizza criticamente la figura di Marwan Barghouti, il più famoso detenuto palestinese nelle carceri israeliane, spesso descritto in Occidente come il “Mandela palestinese”.

Realtà contro Mito

  • Non è un prigioniero di coscienza: Contrariamente all’immagine diffusa, Barghouti non è un dissidente politico incarcerato per le sue idee, ma un politico condannato nel 2004 da un tribunale israeliano per terrorismo e complicità in cinque omicidi di civili israeliani disarmati durante la Seconda Intifada.
  • Comandante e finanziatore di attacchi: All’epoca era a capo delle Brigate al-Aqsa (ala armata di Fatah) e fu ritenuto colpevole di aver autorizzato e finanziato attentati mirati.
  • Promotore della violenza: Durante la Seconda Intifada, sostenne apertamente l’uso delle armi come “legittima resistenza,” giustificando gli attentati suicidi e contribuendo a trascinare il conflitto in una fase sanguinosa di vendette reciproche.

La Funzione del Mito

  • Simbolo per una leadership in crisi: L’immagine eroica di Barghouti risponde a un bisogno di un simbolo in un panorama politico palestinese frammentato tra la corruzione di Fatah e l’integralismo di Hamas. Viene percepito come una “terza via” o un punto di riferimento morale.
  • Strumento politico: Fatah lo evoca per rilanciare la propria legittimità, mentre Hamas lo usa come pedina propagandistica contro l’Autorità Palestinese. La sua popolarità è quindi un mito funzionale a diversi interessi politici, alimentato da anni di detenzione.

Differenza con Nelson Mandela

  • Rifiuto della Riconciliazione: A differenza di Mandela, che scelse il perdono come arma politica e promosse la riconciliazione, Barghouti non ha mai rinnegato la violenza, chiesto perdono per le vittime o proposto una visione concreta di coesistenza.
  • Assenza di autocritica: I suoi messaggi dal carcere si limitano a reiterare slogan ideologici di “resistenza fino alla vittoria” e accuse di “apartheid,” senza alcuna autocritica sugli errori della Seconda Intifada o riflessione sulla crisi della leadership palestinese.

Barghouti è definito un “simbolo statico,” utile come martire ma inutile per un futuro di Stato palestinese libero e democratico. Il suo mito è un sintomo della crisi della leadership palestinese, che non riesce a produrre una classe dirigente con visione e responsabilità, preferendo trasformare un condannato per terrorismo nel proprio punto di riferimento morale. L’articolo conclude che finché il mito di Barghouti sostituirà il dibattito politico, la Palestina rimarrà prigioniera delle proprie illusioni oltre che dell’occupazione israeliana.

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