Israele ritira le auto cinesi agli ufficiali dell’Idf: c’è un alto rischio di spionaggio
di Paolo Crucianelli - 4 Novembre 2025 alle 08:47
L’esercito israeliano ha avviato il ritiro progressivo delle auto di fabbricazione cinese assegnate agli ufficiali dell’IDF. Si parla di circa 600-700 veicoli, in gran parte modelli Chery a sette posti, distribuiti negli ultimi anni a ufficiali con famiglie numerose. L’ordine arriva direttamente dal capo di stato maggiore, Eyal Zamir, e segue una valutazione dei servizi di sicurezza israeliani secondo cui alcuni sistemi installati su vetture prodotte in Cina potrebbero rappresentare un rischio di intelligence.
In concreto, la preoccupazione riguarda la natura stessa della tecnologia “smart-vehicle”. Oggi un’auto moderna è di fatto un dispositivo elettronico su ruote: un computer connesso, dotato di telecamere, microfoni, sensori ambientali, GPS, modem dati e memoria locale. Molti modelli includono sistemi operativi proprietari e canali di trasmissione dati verso server remoti, non sempre sotto controllo dell’utente o dell’importatore. Se integrati in contesti sensibili — come avviene nel caso di ufficiali che accedono quotidianamente a basi militari, aree riservate e briefing operativi — questi sistemi possono teoricamente diventare strumenti di raccolta dati sensibili.
Un ex alto ufficiale israeliano ha sintetizzato il problema spiegando che la questione non riguarda solo la possibilità di “ascoltare” o “riprendere” ciò che accade all’interno o all’esterno dell’abitacolo. Il punto è la capacità dei veicoli connessi di raccogliere dati di movimento, rilevare reti wireless circostanti, mappare infrastrutture e comunicare con server terzi. La combinazione di sensori, software chiuso e connettività permanente rappresenta un vettore di rischio non trascurabile per chi si muove quotidianamente in aree strategiche.
A questo si aggiunge un’ulteriore considerazione: gli smartphone degli ufficiali — collegati al sistema multimediale dell’auto via Bluetooth — potrebbero, in teoria, costituire un ponte di accesso ai dati personali e professionali del conducente. In altre parole, non solo l’auto potrebbe trasformarsi in un potenziale sensore itinerante, ma anche i dispositivi digitali dell’utente potrebbero essere infiltrati dal sistema. Non esistono, al momento, prove pubbliche di un uso ostile di questi sistemi, ma i servizi israeliani ritengono che il rischio sia sufficiente da giustificare una misura preventiva.
La scelta dell’IDF non è l’unica. Stati Uniti e Regno Unito hanno già introdotto restrizioni ai veicoli cinesi nelle aree sensibili, inserendole nel più ampio contesto della competizione tecnologica globale e delle preoccupazioni sulla sicurezza delle catene di fornitura digitali. Negli ultimi anni, l’attenzione si è concentrata prima sulle infrastrutture di rete, poi sui droni commerciali e ora sempre più sui veicoli connessi, che rappresentano un’infrastruttura mobile capillare e in rapida crescita.
Israele, tradizionalmente molto attento ai rischi tecnologici di matrice straniera, in particolare quando coinvolgono forniture dual-use e ambienti militari, ha scelto di muoversi con anticipo. Se i servizi d’intelligence israeliani, forse i più efficienti al mondo, ritengono plausibile una minaccia, è ragionevole ritenere che abbiano ottimi motivi per pensarlo.
Il ritiro dei veicoli proseguirà in più fasi, fino a coinvolgere tutti gli ufficiali entro il primo trimestre del 2026. Nessuna dichiarazione formale sui dettagli è stata rilasciata dall’IDF, ma la strada è chiara: la crescente complessità tecnologica dei sistemi civili, e la loro possibile interconnessione con l’infrastruttura digitale militare, obbligano a una maggiore prudenza.