Emanuele Fiano scrive in occasione del suo ritorno alla Ca’ Foscari

5 Novembre 2025 alle 18:30

A volte il caso.
Oggi torno a parlare a Ca’Foscari a Venezia dopo che una settimana fa mi era stato impedito, in quanto difensore del diritto dello Stato di Israele ad esistere, e sempre oggi celebriamo, fatto enormemente più importante, 30 anni dall’assassinio di Rabin, ad opera di un estremista, terrorista, della destra messianica israeliana; #Rabin era il primo Ministro di Israele che aveva stipulato con #Arafat presidente dell’Olp l’accordo di pace del 1993.
Mai come oggi servirebbe un leader come lui, uomo per nulla incline alla prosopopea e alla propaganda, soldato rude fino all’ultimo, che aveva dedicato tutta la sua vita alla difesa della vita del popolo di Israele, ma capace di capire che la pace si fa con il nemico, e che la forza militare non può sconfiggere il diritto di un altro popolo ad avere il suo stato. Capace, lui come Arafat, di stringere la mano a chi vedeva nell’altro il nemico con le mani intrise di sangue dei propri figli, in nome del valore superiore della pace.
Come cerco sempre di spiegare nei miei interventi, in quella terra insanguinata, in questi ultimi due anni sconvolta da una tragedia immane, prima il 7 Ottobre in Israele e poi da due anni a Gaza, con decine di migliaia di civili innocenti uccisi, in quella terra si scontrano due diritti e non un torto ed una ragione. E i diritti inalienabili non sono collegati alle politiche di questo o quel governo, criticabili finché si vuole, ma che non possono ledere il diritto di un popolo alla propria autodeterminazione. Questo avevano capito Rabin e poi Peres e anche Arafat in quel momento. Questo va ripetuto oggi.
Chi intona, impedendomi di parlare, “Palestina libera dal fiume al mare” intendendo con questo la sparizione di Israele, non fa gli interessi dei palestinesi, ( peraltro accomodandosi sulle posizioni dei terroristi di #Hamas e non dell’#ANP ) ma fa il contrario, rafforzando chi in Israele pensa che nessuna intesa potrà essere mai immaginata con chi vuole cancellarti. E altrettanto chi in Israele, vuole annettere la Cisgiordania e Gaza, chi commette violenze inaccettabili sui palestinesi e sulle loro proprietà in Cisgiordania, chi propugna la deportazione di una parte dei palestinesi, chi considera la violenza su palestinesi inermi un diritto, non fa che fortificare tra i palestinesi chi considera la via del terrore l’unica per la propria autodeterminazione nazionale.
La pace si fa con chi non la pensa come te, perché con chi concorda non c’è bisogno.
Per questo quel gesto della P38 che mi hanno fatto i giovani comunisti e quelli del collettivo Sumud a Venezia e quei cori “Fiano a testa in giù” cantati nell’aula, mi hanno molto colpito. Per due motivi forti.
Il primo è che chi con la forza impedisce di parlare a chi vuole parlare di pace per i due popoli, non rappresenta certo in quel momento un messaggio di pace ma di violenza.
Il secondo è che chi addirittura minaccia, come hanno fatto loro con i gesti e le parole, sta entrando in una sfera di violenza che mi spaventa. Che sai come inizia ma non come finisce. Come mai a 20 anni conoscono il gesto della P38 che per noi significò l’inizio degli anni di piombo? Chi glielo ha insegnato? Come mai sono già alla violenza politica, per adesso solo verbale?
È strano andare a parlare di pace a Venezia e celebrare un uomo di pace stasera a Milano e dover affrontare questo tema di una violenza politica che fa capolino in Italia, ma dovremmo secondo me invece occuparcene. Chi vuole la pace tra i popoli deve occuparsene e difendere qui e lì sempre, i valori inalienabili di libertà ed eguaglianza per tutti, nessuno escluso.

Il grande archivio di Israele

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