Da Mosca al mainstream: come l’Antisionismo Sovietico è diventato globale

12 Novembre 2025 alle 13:30

L’antisionismo odierno non è semplicemente sorto da dibattiti universitari o da discorsi di ONG. È stato progettato, raffinato ed esportato dall’ex Unione Sovietica come arma politica contro gli Stati Uniti, Israele e l’ordine liberale che essi rappresentavano. A partire dagli anni ’60, quando il sionismo era popolare e la restaurazione della sovranità ebraica nella sua patria ancestrale e indigena godeva di ampio sostegno, il Cremlino costruì una campagna ideologica che ridefiniva il sionismo come razzismo e imperialismo, lo fondeva con narrazioni anti-occidentali e lo spingeva attraverso istituzioni globali e media alleati. Gran parte del linguaggio e molte delle affermazioni odierne risalgono a quel progetto, che serve ancora gli avversari che cercano di indebolire l’Occidente privando Israele di legittimità e rivoltando le società libere contro se stesse.

Punti chiave

  • L’URSS costruì una dottrina antisionista di stato e una letteratura di “Zionologia”, definendo il sionismo come razzista e antisovietico, e la diffuse su larga scala.
  • Mosca e i suoi satelliti internazionalizzarono il messaggio attraverso l’OLP, i regimi alleati e le Nazioni Unite, culminando nella risoluzione del 1975 “Il sionismo è razzismo”.
  • I servizi del blocco sovietico finanziarono, addestrarono e protessero politicamente i militanti anti-Israele, mentre conducevano una propaganda che rispecchiava la loro violenza nelle parole.
  • I temi centrali sovietici sopravvivono nel discorso odierno, re-impacchettati in campagne che mirano a isolare Israele e a screditare le democrazie occidentali.

Costruire la dottrina in patria

Dopo che Israele si allineò con Washington, l’URSS passò dal riconoscimento iniziale dello stato ebraico a una sostenuta campagna antisionista. Gli organi del Partito e i servizi di sicurezza inquadrarono il sionismo come razzista, coloniale e antisovietico, e diedero alla polemica un involucro pseudo-accademico chiamato “Zionologia”. Pubblicazioni di massa come Attenzione: Sionismo! di Yuri Ivanov e precedenti agitprop come Ebraismo Senza Abbellimenti di Trofim Kichko fornirono stereotipi e motivi cospiratori in un linguaggio approvato dallo stato. La Grande Enciclopedia Sovietica insegnava che il sionismo incarnava “razzismo” e “antisovietismo”, ponendo una base ideologica per l’esportazione.

Esportare la narrazione

La Guerra dei Sei Giorni e la vittoria di Israele fecero dell’antisionismo una linea distintiva della guerra politica sovietica all’estero. Mosca e i suoi alleati convogliarono il messaggio attraverso le capitali arabe, l’OLP e i media amici. La Germania Est e altri stati del Patto di Varsavia lo amplificarono in Europa, collegando Israele al Nazismo e all’imperialismo, mentre corteggiavano i militanti. Lavori declassificati e d’archivio mostrano un sostegno costante del blocco ai gruppi palestinesi affiancato da una spinta propagandistica che elaborava gli stessi temi sulla stampa e nelle trasmissioni.

Internazionalizzazione all’ONU

Il successo più visibile della campagna arrivò il 10 novembre 1975, quando l’Assemblea Generale dell’ONU adottò la Risoluzione 3379 che dichiarava “Il sionismo è una forma di razzismo e discriminazione razziale”. La risoluzione fu sostenuta dai blocchi sovietico e arabo e riecheggiava anni di linguaggio sovietico. Fu abrogata nel 1991, ma lo slogan che aveva legittimato era già migrato nei media, nelle ONG e nel mondo accademico, dove ancora modella i dibattiti.

Sposare le parole alle armi

Le misure attive non riguardavano solo i discorsi. I materiali Mitrokhin e la relativa documentazione mostrano canali del KGB che addestrarono e armarono fazioni palestinesi, mentre partner sovietici come la Stasi gestivano la logistica e la copertura in Europa. La linea politica che etichettava il sionismo come razzista marciava in parallelo con campagne armate che prendevano di mira israeliani ed ebrei all’estero, una manovra a tenaglia che cercava l’isolamento sia fisico che morale di Israele e dei suoi alleati.

Perché è ancora importante

L’antisionismo sovietico ha fornito un modello che persiste. Le sue affermazioni centrali equiparano Israele a razzismo, apartheid o fascismo, invertono vittima e aggressore e raffigurano l’autodeterminazione nazionale ebraica come unicamente illegittima. I ricercatori che tracciano la linea di queste narrazioni mostrano una diretta continuità dalla stampa e dai pamphlet sovietici agli slogan e ai “testi esplicativi” attuali. L’obiettivo è invariato: separare Israele dalla famiglia delle nazioni, definire gli Stati Uniti come il suo patrono corrotto e rivoltare il pubblico occidentale contro le proprie istituzioni presentando il sostegno a Israele come una macchia morale.

Lo scopo strategico più ampio

Per il Cremlino, l’antisionismo era un mezzo per colpire l’Occidente su più fronti a basso costo. Raccoglieva clienti in Medio Oriente, fratturava le coalizioni occidentali, dava energia alle reti radicali e inondava i forum internazionali con un atto d’accusa morale che è sopravvissuto all’URSS. Quel copione rimane utile agli avversari che traggono vantaggio quando le democrazie liberali dubitano di se stesse. La persistenza del cliché “Il sionismo è uguale a razzismo”, nonostante la sua abrogazione all’ONU, mostra come una linea di propaganda statale possa plasmare la società civile molto tempo dopo la scomparsa dello stato che l’ha creata.

In sintesi: La campagna per internazionalizzare l’antisionismo è stata un progetto sovietico fin dall’inizio, progettato per ferire Israele e l’Occidente nel tribunale dell’opinione mondiale, mentre si sostenevano i militanti sul campo. Il suo vocabolario e la sua logica animano ancora movimenti che cercano non solo di isolare Israele ma di ridefinire gli Stati Uniti e i loro alleati come paria morali. Comprendere questa origine chiarisce i dibattiti odierni e aiuta a vaccinare le società libere contro un’eredità di propaganda costruita per farle dimenticare chi sono.

Rilevanza per oggi

Le proteste anti-Israele che si sono diffuse negli Stati Uniti e in altre città occidentali dopo il massacro del 7 ottobre attingono direttamente al linguaggio, all’immaginario e alla logica della propaganda di epoca sovietica. Gli slogan principali, che accusano Israele di “genocidio”, etichettano il sionismo come “colonialismo” e inquadrano gli Stati Uniti come l’oppressore finale, rispecchiano i temi elaborati dall’Unione Sovietica negli anni ’60 e ’70 per screditare sia Israele che l’Occidente.

Queste narrazioni furono progettate per ritrarre le nazioni democratiche come ipocrite e moralmente corrotte, presentando al contempo i loro nemici come vittime di aggressione imperiale. Oggi, la stessa retorica è stata rianimata, spesso da attivisti che credono di dire la verità al potere, ma in realtà stanno riecheggiando la disinformazione della Guerra Fredda volta a dividere le società libere dall’interno. L’intensità emotiva, il rifiuto dei fatti e l’ostilità verso il dibattito aperto osservati in queste manifestazioni riflettono il successo di quella strategia sovietica originale, volta a erodere la fiducia nelle istituzioni occidentali e a sostituire la verità con l’oltraggio ideologico.

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