Perché per Israele è così importante riportare a casa tutti gli ostaggi, anche i morti
13 Novembre 2025 alle 12:43
Per Israele, dare sepoltura ai propri morti, in particolare agli ostaggi uccisi da Hamas, trascende il rito per diventare una priorità nazionale che affonda le radici in precetti religiosi, civili e militari. Questa urgenza nasce dalla tradizione ebraica: l’obbligo di una sepoltura rapida e dignitosa (kavod ha-met) si combina con il valore del “riscatto dei prigionieri” (pidyon shvuyim), che eleva la restituzione dei resti a imperativo morale della comunità. L’idea che nessuno, vivo o morto, debba essere lasciato indietro, funge da bussola condivisa tra lo Stato e le Forze Armate. Questa grammatica del rispetto orienta concretamente le decisioni politiche, muove l’opinione pubblica e condiziona i negoziati, con la restituzione dei corpi che diventa una leva negoziale cruciale, spesso inserita nei dossier in cambio di prigionieri o tregue. I rimpatri delle salme sono accolti con cerimonie pubbliche e lutti collettivi, poiché consentire i riti e il lutto rappresenta un alto dividendo simbolico e chiude ferite che altrimenti continuerebbero a sanguinare.
Accanto alla specificità nazionale, la questione dei rimpatri si interseca con la dimensione umanitaria codificata dal diritto internazionale. Le Convenzioni di Ginevra impongono il trattamento dignitoso, l’identificazione e la restituzione dei caduti su richiesta delle famiglie. La cooperazione per il rimpatrio dei resti è rimasta storicamente uno dei rari spazi condivisi, un “minimo comune etico” capace di sospendere la logica bellica anche tra nemici irriducibili. La vicenda israeliana aggiunge poi l’elemento della memoria lunga e della centralità del funerale per la coesione nazionale. In questo contesto, la tecnologia (identificazioni forensi, banche dati del DNA) è parte integrante di una vera e propria “infrastruttura del lutto” che unisce scienza, diritto e religione per restituire un nome ai resti e un luogo alla memoria. In definitiva, riportare a casa i propri morti non è un dettaglio accessorio, ma un gesto di profonda civiltà – come quello di Achille che restituisce Ettore nell’Iliade – che definisce la misura dell’umano e la coesione di una nazione.