Un barlume di salvezza
Feltri tenta un approccio equilibrato e riflessivo, ma l’articolo resta sospeso tra la volontà di criticare l’immobilismo politico e la tendenza della testata a rappresentare Israele come fonte prevalente dell’instabilità regionale. L’analisi è interessante, a tratti acuta, ma manca un vero confronto con le dinamiche interne palestinesi, il ruolo di Hamas e le responsabilità dell’Autorità Nazionale Palestinese. Ne risulta un pezzo non ostile, ma incompleto.
Alla Knesset, il Parlamento israeliano, è cominciata la procedura per l’introduzione della pena di morte, riservata ai terroristi e in una formulazione che probabilmente finirà col colpire i soli imputati arabi. Dico “introduzione” anche se la pena di morte già c’era, per circostanze eccezionali fin qui ravvisate soltanto nel caso di Adolf Eichmann, il grande progettista della macchina della Shoah. Era il 1962, e sul dibattito si innalzò il filosofo Martin Buber, primo firmatario di una lettera indirizzata al premier David Ben Gurion perché a Eichmann fosse risparmiata la vita. Buber era contrario al patibolo in generale ma, in particolare, pensava ci fossero crimini di tale enormità per cui nessuna pena è adeguata, e nessun beneficio se ne sarebbe ricavato. Pochi anni dopo, nel 1965, il drammaturgo Peter Weiss (si dichiarava tedesco ed ebreo, nell’ordine: in quanto tedesco si sentiva carnefice, in quanto ebreo si sentiva vittima) giunse alle stesse conclusioni in coda al processo di Francoforte agli aguzzini di Auschwitz. Non c’erano condanne, pensò Weiss, in grado di lenire il senso di colpa che provava da tedesco e la sofferenza che provava da ebreo. Sia Buber sia Weiss erano andati persino oltre un altro amato filosofo, Hugo Bergmann, che implorava a Israele un gesto per restituire «un barlume di salvezza nel mondo», per mostrare vivo «il giudaismo dell’amore e della compassione ancora dopo l’Olocausto», e per non alimentare «l’odio nel mondo, l’odio contro di noi e il nostro odio contro gli altri». Eichmann fu impiccato. Buber, Weiss e Bergmann non ci sono più. E oggi siamo messi così.