«Telecamere di Hamas» Lo sterminio di reporter a Gaza
Il Manifesto costruisce il racconto esclusivamente sulla base di materiali provenienti da Hamas, trattati come fonti neutrali. Il pezzo parla di “sterminio deliberato” senza prove, assume che ogni vittima civile sia automaticamente responsabilità israeliana e presenta le immagini fornite da Hamas come documentazione giornalistica. Nessuna verifica, nessun contraddittorio, nessuna analisi sul sistema di scudi umani o sull’uso di infrastrutture civili a fini militari. Un esempio emblematico di propaganda travestita da reportage.
L’uccisione da parte di Israele di almeno 225 giornalisti palestinesi dal 7 ottobre 2023 ha attirato brevemente l’attenzione internazionale dopo che è stato calcolato che a Gaza sono morti più giornalisti «che nella guerra civile americana, la prima e la seconda guerra mondiale…». Nell’ambito del suo sforzo di eliminare i testimoni e controllare la narrazione, Israele ha, come ha scritto un commentatore, trasformato Gaza in un cimitero del giornalismo. Lo ha fatto attraverso l’uso ripetuto di droni e aerei per dare la caccia ai lavoratori dei media da lontano, come quando ha preso di mira il reporter di Al Jazeera Anas al-Sharif insieme a Mohammed Qraiqea, Ibrahim al-Thaher, Mohamed Nofal, Moamen Aliwa e Mohammed al-Khaldi mentre erano seduti in una tenda che ospitava giornalisti vicino all’ospedale al-Shifa. LE FORZE ISRAELIANE hanno anche giustiziato giornalisti a distanza ravvicinata, come quando un cecchino israeliano ha ucciso Saed Abu Nabhan mentre lavorava nella zona di Nuseirat, nel centro di Gaza. Oltre a ferire, arrestare o far sparire molti altri giornalisti, le forze israeliane hanno sistematicamente danneggiato o distrutto 112 istituzioni e uffici mediatici governativi e non governativi, tra cui stazioni tv e radiofoniche, torri di trasmissione, uffici di servizi mediatici e sedi di giornali. L’assassinio di giornalisti costituisce un crimine di guerra e un crimine contro l’umanità: ciò è dovuto al fatto che, secondo le leggi sui conflitti armati, i giornalisti sono considerati civili ed è illegale prendere di mira deliberatamente dei civili. Tuttavia, in quanto giornalisti, non godono di alcuna protezione speciale nonostante gli elevati rischi a cui li espone il loro lavoro. I redattori di queste leggi, da ultimo nella formulazione dei Protocolli aggiuntivi del 1977, hanno riconosciuto la differenza tra civili e giornalisti, comprendendo che questi ultimi sono spesso presenti in prima linea; tuttavia, inspiegabilmente, non hanno concesso loro alcuna protezione aggiuntiva. Le limitate protezioni legali concesse ai giornalisti li espongono al sistematico bersagliamento da parte di Israele, che è stato ulteriormente incoraggiato dai media occidentali e dal ruolo che questi hanno svolto nel minare la professionalità e la credibilità dei giornalisti palestinesi. ISRAELE ha una lunga storia di tentativi di diffamare i giornalisti palestinesi e minarne la professionalità attraverso le sue unità governative e militari di hasbara e ha persino utilizzato l’agenzia pubblicitaria del governo per produrre annunci su YouTube in cui si afferma che i giornalisti di Ga2a sono parte integrante della «propaganda di Hamas» e sono di conseguenza obiettivi legittimi. Non è chiaro se tali campagne insidiose abbiano influenzato i media occidentali o se siano i loro pregiudizi di lunga data a plasmare il modo in cui riportano l’assassinio dei reporter palestinesi, ma spesso sembrano semplicemente ripetere le menzogne di Israele. Quando Israele ha ucciso i giornalisti di Middle East Eye Mohamed Salama e Ahmed Abu Aziz, insieme al fotoreporter di Reuters Hussam al-Masri e ai freelance Moaz Abu Taha e Mariam Dagga all’ospedale Nasser, ad esempio, le agenzie di stampa occidentali, tra cui Ap e Reuters (i cui giornalisti sono stati uccisi nell’attacco) hanno ripetuto l’affermazione di Israele secondo cui l’obiettivo era una «telecamera di Hamas. IL NEOLOGISMO «telecamera di Hamas» è stato senza dubbio coniato da Israele, eppure decine di media hanno ripetuto la frase senz
a fermarsi a chiedersi cosa potesse essere una «telecamera di Hamas», al contrario di una Nikon o una Canon. La semplice ripetizione di questa frase contribuisce a legittimare l’attacco deliberato ai giornalisti, un attacco – è fondamentale ricordarlo – compiuto in un complesso ospedaliero dove sono stati uccisi anche personale medico e pazienti. QUESTO ATTACCO è stato eseguito dopo oltre un anno e dieci mesi di genocidio. A quel punto era evidente che Israele stava prendendo di mira metodicamente i giornalisti, avendo già ucciso oltre 200 operatori dei media, spesso insieme alle loro famiglie. Inoltre, è altamente improbabile che i principali media occidentali avrebbero ripreso le narrazioni legittimanti di Israele se fossero stati uccisi giornalisti europei bianchi sul tetto dell’ospedale Nasser. Ciò che è chiaro, come sottolinea Chris Hedges, è che tali narrazioni «screditano le voci delle vittime e scagionano gli assassini», rafforzando l’impunità. L’accusa che i giornalisti palestinesi siano motivati ideologicamente e non possano essere obiettivi proviene dai media che hanno diffuso insidiose notizie su bambini decapitati e cotti nei forni; proviene dai media che hanno ripetuto la menzogna sull’esistenza di un centro di comando centrale sotto l’ospedale Al Shifa e la falsa accusa che i giornalisti palestinesi dirigessero le unità missilistiche di Hamas dai tetti degli ospedali. In effetti, disumanizzare i palestinesi contribuisce a normalizzare non solo il genocidio, ma anche l’incitamento a commetterlo che i giornalisti israeliani hanno vomitato fin dal primo giorno. GIÀ IL 7 OTTOBRE 2023, Shimon Riklin di Channel 14 ha scritto che «Ga2a deve essere spazzata via dalla faccia della terra» e in seguito ha chiesto retoricamente «perché abbiamo una bomba atomica?». Pochi giorni dopo, Naveh Dromi, che lavorava per Channel 14 e ora è conduttore di i24News, ha scherzato retoricamente nel programma televisivo The Patriots: «Non ci sono innocenti. Nel ’48 hanno causato loro stessi la Nakba. Ora ne avranno una seconda, una vera Nakba, per portare a termine l’opera di Ben-Gurion». ROY SHARON, corrispondente di Channel 11, ha giustificato esplicitamente la prospettiva di «un milione di cadaveri»: «Ho parlato di un milione di cadaveri non come obiettivo, ho detto che se, per eliminare definitivamente le capacità militari di Hamas, compresi Sinwar e Deif, abbiamo bisogno di un milione di cadaveri, allora che ci sia un milione di cadaveri».Nella rivista Mako Tomer Kimerling ha scritto: «Chi viene a ballare a Ga2a? Ga2a scomparirà e io ballerò lì come non ho mai ballato prima». Alcuni giornalisti israeliani hanno anche attaccato direttamente i loro colleghi di Ga2a. Hagai Segal, ex redattore capo di Makor Rishon, ha scritto: «Tutti i giornalisti a Ga2a sono membri o sostenitori di Hamas, fabbricatori di calunnie sanguinose… Forse ci sono alcune persone a Ga2a che indossano giubbotti con la scritta Press e che, nel loro cuore, disapprovano in qualche modo Hamas, ma anche loro non meritano la protezione dell’associazione dei giornalisti». TALI DICHIARAZIONI potrebbero equivalere a un incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio, un atto punibile ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione del 1951. Allo stesso modo, l’articolo 25 dello Statuto di Roma del 1998 prevede che una persona che «ordina, sollecita o induce a commettere» crimini o «incita direttamente e pubblicamente altri a commettere genocidio» sia individualmente responsabile penalmente. Esistono precedenti che ritengono i giornalisti israeliani e altri mezzi di comunicazione responsabili di tale incitamento. Nel 2003 il Tribunale penale internazionale per il Rwanda ha condannato tre leader dei media per incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio. Rivolgendosi agli imputati, il presidente della Corte suprema ha spiegato che «senza armi da fuoco, machete o altre armi fisiche, avete causato la morte di migliaia di civili innocenti», sottolineando che le loro trasmissioni e pubblicazioni non potevano essere protette dal diritto alla libertà d
i espressione. NONOSTANTE il tentativo di Israele di dipingere i giornalisti palestinesi come istigatori alla violenza, la grande e tragica ironia, come evidenziano le affermazioni del giudice nel caso ruandese, è che un numero non trascurabile di giornalisti israeliani è, in realtà, colpevole proprio di questo crimine. È quindi giunto il momento che tutti i firmatari delle Convenzioni di Ginevra e della Convenzione sul genocidio garantiscano che quei giornalisti e i loro dirigenti dei media che incitano al genocidio siano ritenuti responsabili, arrestandoli quando viaggiano all’estero e perseguendoli nei tribunali nazionali che hanno giurisdizione universale. Ciò che abbiamo visto, invece, è il modo in cui numerosi media hanno minato la credibilità di coloro che testimoniano i crimini di Israele, facilitando la trasformazione del giornalismo in uno strumento che favorisce e incoraggia il genocidio e i crimini contro l’umanità.