Intervista a Vali Nasr – «A Riad non bastano gli F-35 E con l’Iran non è finita»

L’intervista al politologo Vali Nasr fornisce un’analisi dettagliata, ma non perfetta, sullo stallo degli Accordi di Abramo e la normalizzazione con l’Arabia Saudita. L’articolo riconosce che il piano di pace di Trump non sta funzionando e che Riad, sensibile all’opinione pubblica araba, non può accettare la normalizzazione finché la guerra a Gaza non sarà finita. Tuttavia, il pezzo è sbilanciato nel momento in cui identifica nella “posizione di Israele sulla creazione di uno Stato palestinese” il nodo centrale e insuperabile. Questa inquadratura, pur riportando una realtà diplomatica, manca di un’analisi profonda sull’origine della fermezza israeliana, ovvero l’imperativo di sicurezza dopo il 7 ottobre. Accettare uno Stato palestinese governato da entità terroristiche rappresenta un rischio vitale, e l’articolo non riesce a bilanciare adeguatamente questo elemento rispetto alla pressione diplomatica.

A poche ore dall’arrivo di Mohammed bin Salman alla Casa Bianca e mentre la tensione in Medio Oriente non accenna a diminuire, il politologo iraniano-americano Vali Nasr prova a sbrogliare la matassa. Ma i nodi sembrano stringersi invece che allentarsi. Il piano di Trump per ridisegnare gli equilibri del Medio Oriente sulla base della normalizzazione dei rapporti tra Riad e Israele non sta funzionando, perché? «Prima del 7 ottobre si parlava degli Accordi partendo dal presupposto che la questione palestinese non fosse più rilevante e che l’Iran fosse il problema più importante per l’Arabia Saudita e che quest’ultima avrebbe scambiato il riconoscimento di Israele con una partnership strategica con gli Stati Uniti. Negli ultimi due anni però è cambiato lo scenario. Washington sembra non capirlo e continua a riproporre lo stesso modello. Ma nonostante Mohammed bin Salman abbia poteri assoluti in quanto principe ereditario e la monarchia sia molto salda, è comunque sensibile all’opinione pubblica del Regno e a quella del resto del mondo arabo. Gli F-35 e il partenariato strategico non bastano a Riad. La normalizzazione non può avvenire finché la guerra a Gaza non sarà finita. Inoltre Israele non ha cambiato la sua posizione sulla creazione di uno Stato palestinese». Trump però insiste. Perché? «Gli Stati Uniti non vogliono ammettere che questo obiettivo è irraggiungibile, semplicemente perché non vogliono ammettere che le cose in Medio Oriente sono cambiate dopo il 7 ottobre». A Gaza non c’è pace. Ma anche i rapporti tra Israele e Libano paiono ancora molto tesi… «Non si può parlare di cessate il fuoco in Libano. Hezbollah sa che Israele non si ritirerà dalla parte meridionale del Paese. E, allo stesso tempo, non si fida né dell’esercito, né dell’establishment politico libanese. La popolazione sciita è consapevole di non poter tornare nei villaggi nel Sud. Qualora Hezbollah dovesse consegnare le armi, verrebbe meno la protezione. E si prepara a resistere. Anche se la visita del Papa prevista a fine mese potrebbe contribuire a evitare che lo scenario precipiti nei prossimi giorni, Israele alza la tensione». Anche il fronte con l’Iran potrebbe riaccendersi? «Ovviamente. L’Iran è ancora una questione aperta perché la guerra di Israele non ha raggiunto i suoi obiettivi. Il regime non è caduto. Gli Usa non vogliono entrare in guerra, ma non offrono nulla su cui costruire negoziati sul nucleare. È vero che Teheran non sta parlando con Washington, ma questo anche perché gli Stati Uniti non sembrano essere pronti: vogliono che l’Iran accetti la resa in quanto parte sconfitta. Ma Teheran non crede di aver perso la guerra. Quindi, a meno che la situazione non si sblocchi, facilmente assisteremo ad un altro round del conflitto tra Israele e Iran. Ma non sono sicuro che la guerra sia necessariamente un’opzione. Tutto dipende dai calcoli di Gerusalemme». In questo scenario si inserisce Putin che prova ad approfittarne. E c’è chi parla di accordi sotto banco sull’Ucraina e il Medio Oriente… «La vera domanda diventa: la Casa Bianca ha la capacità di gestire più crisi internazionali contemporaneamente? Cioè Gaza e l’Ucraina e anche e il Venezuela nello stesso momento. Il calcolo del Cremlino, così come quello dell’Iran, potrebbe essere che gli Stati Uniti si stiano cacciando in un conflitto completamente nuovo in America Latina che sostanzialmente distoglieranno gran parte della loro attenzione dall’Ucraina, e in modo simile dal Medio Oriente. Prima Putin ha detto di no a quanto gli è stato offerto in Alaska poi ha attaccato duramente l’Ucraina. È lo stesso messaggio degli iraniani: ovvero che non negozierà da una posizione di debolezza».

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