Il meraviglioso potere magico di una Kippah

18 Novembre 2025 alle 11:17

Fonte: freepik.com

Sono un italiano, non praticante alcuna religione, nato da mamma e padre cristiani. Amico di Dio.

Da circa sei mesi vivo a Imperia, in un quartiere abitato da famiglie musulmane e sparuti anziani, superstiti della vecchia Porto Maurizio. Ho un piccolo locale e vendo da mangiare.

Circa tre mesi fa, un avventore è entrato nel locale, si è avvicinato al frigorifero delle bevande e mi ha suggerito di smettere di vendere una Cola, a suo dire sionista e finanziatrice del genocidio, e di optare invece per un’altra Cola, sostenitrice della resistenza. Quando gli ho fatto notare che la sua scelta di parole era quanto mai fallace e lo ho invitato, con garbo, ad accomodarsi altrove, lo sconosciuto avventore se ne è andato senza consumare, accusandomi di essere un genocidatore.

Nel quartiere si sono dileguati molti sorrisi, e quattro quinti dei clienti con essi. I clienti non sono il problema, ho spostato l’incasso sulle consegne a domicilio, e vabbè, ma i sorrisi, quelli non sono mai più tornati.

Questo rigurgito di antisemitismo, questo rutto di Novecento mal digerito, che ha l’alito fetido dell’orrore, non può essere tollerato da un popolo come il nostro, gli italiani, perché siamo uomini tanto d’onore quanto d’amore, padroni di una cultura che il mondo ci invidia, e di una patria, l’Italia, la nostra bellissima casa, che ha la forma più figa di tutto il mappamondo.

E sono proprio l’onore, il coraggio e l’amore che un italiano ha nel cuore che volevo mostrare a tutto il quartiere, così, ardito, ho deciso di mettermi una kippah.

I primi giorni, confesso, provavo costantemente quella sensazione senza nome, paura.

Ogni mattina, uscendo di casa, poggiavo sulla testa la mia kippah con stoico rigore, così da piegare quella sensazione senza nome, ripetendo a me stesso che me l’ero promesso.

I vecchi sorrisi non sono ricomparsi, ma, cosa ancora migliore, sorrisi nuovi, tante persone: la signora col figlio che sostiene Israele, la vicina che non ama ciò che sta diventando il quartiere, il dirimpettaio, quello dell’assicurazione. Persone come me, che ora si sentono meno sole, perché sanno che ci sono persone come loro.

Sono quasi tre settimane che indosso la kippah ogni giorno e non ho più paura, non devo essere stoico perché ci pensa la mia voce interiore che, con un sorriso, sembra dirmi: “Dove vai senza kippah, pirla”, ha il tono di un padre che sente che un figlio agisce nel giusto, e lo sbeffeggia affettuosamente.

Ho imparato che non aver paura cambia le persone, tanto che perfino qualche muso lungo s’è rifatto sorriso.

Se tutti coloro che, come me, provano disgusto per la propaganda antisemita e antioccidentale che c’avvelena indossassero una kippah, questa retorica mostruosa di menzogne e viltà, questo nulla che incombe sulla nostra meravigliosa civiltà, verrebbe rispedito nella fogna dalla quale sta tracimando.

Non c’è che dire, è davvero un grande potere, per un cappello.

Il grande archivio di Israele

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