Perché Israele non può concedere, oggi, uno Stato palestinese

di Paolo Crucianelli - 18 Novembre 2025 alle 12:38

Israele non può concedere oggi uno Stato palestinese indipendente. La ragione non è un pretesto politico, ma una questione di sopravvivenza. Quello che non viene forse sufficientemente spiegato all’opinione pubblica occidentale è che lo status di Stato sovrano significa avere il pieno controllo dei confini terrestri, del cielo e del mare. E consegnare tutto questo a una Palestina ancora instabile significherebbe esporre Israele a un pericolo strategico immediato e assolutamente ingestibile.

Intanto i confini sono una questione irrisolta: parlare di “linee del ’67” o di correzioni marginali vuol dire toccare aree densamente popolate e vitali, con il risultato che città come Tel Aviv o l’aeroporto Ben Gurion si troverebbero a pochi chilometri da uno Stato potenzialmente ostile. In caso di attacco, i tempi di reazione si ridurrebbero a minuti, o addirittura secondi, rendendo impossibile una difesa efficace. A questo si aggiunge la questione cruciale dei porti e degli aeroporti: uno Stato palestinese avrebbe il diritto di gestirli autonomamente, aprendo la strada a importazioni incontrollate di armi sofisticate, missili a lungo raggio, droni armati e sistemi antinave che oggi Israele riesce a bloccare con il controllo sui valichi terrestri.

La dignità statuale consentirebbe alla Palestina di accogliere e far circolare liberamente sul suo territorio forze militari esterne, in particolare iraniane; va da sé che Israele non può permettere che questo accada. Le contromisure ipotizzabili appaiono inefficaci, è illusorio pensare che osservatori internazionali o missioni ONU possano garantire la sicurezza: la storia dimostra che, alla prima crisi, queste forze si ritirano, lasciando sul campo solo milizie e arsenali, oppure osservano senza assolvere al loro compito, come Unifil in Libano.

Nemmeno la sconfitta di Hamas risolverebbe il problema. L’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) è debole, screditata e incapace di governare efficacemente, mentre in Cisgiordania e a Gaza restano attive altre formazioni armate come la Jihad islamica, gruppi salafiti e reti locali. Inoltre, l’ANP non mostra veri segnali di volontà di abbandonare il conflitto contro Israele: fino a febbraio, ad esempio, veniva riconosciuta automaticamente un’indennità economica alle famiglie dei terroristi “martiri” o di quelli arrestati e imprigionati da Israele. Il 10 febbraio di quest’anno tale legge è stata abrogata da Abu Mazen, ma di fatto i sussidi alle famiglie dei terroristi hanno cambiato forma ma non sostanza.

Il rischio è la nascita di uno Stato nominale, riconosciuto sulla carta ma in realtà ingovernabile, terreno ideale per traffici illegali e interferenze di potenze esterne. Israele lo ha già sperimentato nel 2005 con il ritiro da Gaza: lasciò territori e infrastrutture, ricevette in cambio razzi e tunnel. Ripetere quell’errore su scala più ampia significherebbe trasformare la vulnerabilità in disastro annunciato.

Eppure, da Macron a Starmer, molti leader occidentali invocano lo Stato palestinese come se fosse la chiave magica per aprire le porte della pace. In realtà, il riconoscimento immediato rischia di trasformarsi in un boomerang: si premierebbe senza ottenere nulla in cambio – né vero disarmo, né riforme, né istituzioni credibili. Si offrirebbero titoli e legittimità a un’entità che non possiede ancora gli strumenti minimi per funzionare, con il risultato di indebolire chi vorrebbe davvero un cambiamento e di rafforzare chi ha tutto l’interesse a mantenere il conflitto.

Israele non può permettere oggi la nascita di uno Stato palestinese: sarebbe incontrollabile, armabile dai suoi nemici e incapace di garantire stabilità. Se mai dovrà nascere, il percorso dovrà essere graduale: prima la sicurezza, poi istituzioni solide, infine la sovranità. Riconoscere ora la Palestina rischia di creare illusioni e nuove fratture. La dignità statale non arriverà da proclami simbolici, ma da un processo lento e concreto di disarmo, stabilizzazione e responsabilità condivisa. La vera domanda resta: i palestinesi vogliono davvero il loro Stato? Finora, i fatti dicono di no.

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