Il verdetto Onu non chiude le falle del piano per Gaza

Rampoldi coglie alcuni nodi reali della transizione, ma la sua analisi tende a enfatizzare criticità ipotetiche come se fossero già fallimenti. Il testo è utile per capire le perplessità europee, ma resta sbilanciato e incline al pessimismo politico.

Malgrado Trump la racconti addirittura come la premessa della «pace nel mondo», la risoluzione approvata dal Consiglio di Sicurezza Onu non ripara le falle che mettono a rischio il piano per Gaza del presidente americano. Nel respingerla, Hamas ha promesso che a quelle condizioni i suoi miliziani non consegneranno le armi ai soldati della Forza di stabilizzazione prevista dal Piano; e ove quei militari tentassero di disarmarli li tratterebbero da complici di Israele. A sua volta il governo Netanyahu ribadisce che non accetterà m in alcun modo la prospettiva di uno Stato palestinese, blandamente abbozzata dalla risoluzione (e respinta dal 79 per cento dell’elettorato ebraico, secondo un recentissimo sondaggio Jefa). Conseguenza implicita: l’esercito israeliano non lascerà quella metà della Striscia che occupa, o perlomeno non tutta, infine, l’assenza di qualsiasi riferimento alla “pulizia etnica” alla spicciolata in corso nel West Bank indurrà la destra israeliana a persistere in quel progetto. Al più lo renderà meno visibile. Ora “Washington” dovrà trovare i governi adisponibili, via via, soldati nella metà di Gaza sotto controllo di Hamas. Per riuscirvi potrebbe trovare una soluzione cosmetica equivalente di fatto alla rinuncia a disarmare i palestinesi. Ma il governo israeliano, ripete, non lo accetterebbe. Fin quando il cessate il fuoco resterà precario, tra i gazawi crescerà la tentazione di emigrare, magari per il tramite dell’agenzia israeliana che due giorni fa ha fatto arrivare un aereo di palestinesi in Sud Africa. Il complicato parto della risoluzione Onu ha offerto insegnamenti interessanti, innanzitutto ha confermato che Trump non segue alcuna strategia né persegue disegni altri dal tornaconto proprio e dei propri sodali. La diplomazia americana dapprima ha combattuto, d’intesa col governo Netanyahu, l’ipotesi di inserire nella propria mozione la possibilità di una Palestina un giorno indipendentista diritti arabi. Ma poiché gli arabi non mollavano, alla fine Washington ha inserito nel testo un riferimento, ancorché opaco. Inoltre Washington promette di vendere all’Arabia Saudita i suoi formidabili aerei F-35, fornitura che annullerebbe il vantaggio strategico dell’aviazione israeliana in Medio Oriente un mese dopo aver accolto alla Knesset Trump con l’ossequio adorante che i sudditi tributano ad un imperatore, parte della destra israeliana ora scopre con sgomento la promiscuità dell’americano. Per altri motivi l’eclettismo trumpiano, se vogliamo chiamarlo così, dovrebbe almeno incuriosire anche gli europei. Sarebbe interessante sapere, per esempio, cosa ha ottenuto Mosca per rinunciare a porre il veto sulla mozione americana. Due. Settimane fa Washington ha improvvisamente abrogato le sanzioni contro Milorad Dodik presidente della repubblica serbobosniaca benché l’uomo resti un dodici seguace di Putin negatore del genocidio bosmaco e, col suo secessionismo, un minaccia all’unità della Bosnia, cara alla. Il ripensamento americano potrebbe avere a che fare anche con interessi concreti. In maggio Dodik aveva offerto agli americani lo sfruttamento delle miniere in cambio del riconoscimento della “repubblica dei serbi di Bosnia”. Nel frattempo ha incontrato alti dignitari russi, da ultimo Lavrov a fine ottobre. Abbastanza per tenere a mente quanto segnala l’analista Esad Sirbegovic per ragioni di vicinanza con l’Europa, con l’Italia in particolare, la repubblichetta serba rappresenta per Mosca «un territorio dal quale lanciare missili sarebbe assai più efficace» che da qualsiasi altro territorio russo. Una seconda novità segnalata dalla risoluzione Onu su Gaza è la riapparizione delle Nazioni unite in un grande gioco globale. Washington non intendeva coinvolgere il Consiglio di sicurezza, anche perché il governo Netanyahu era assolutamente contrario, ma ha dovuto cedere alle pressioni dei regimi islamici, cui premeva un mandato Onu che li mettesse al riparo dall’accusa di assecondare le volontà israele-americane. Così abbiamo scoperto che in un mondo policentrico la superpotenza non è egemone e necessita del consenso di medie potenze regionali.

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