Le zone A, B e C: la mappa che esiste e la storia che non puoi riscrivere nel Medio Oriente
di Luigi Giliberti - 20 Novembre 2025 alle 12:27
C’è un punto in cui il dibattito sul conflitto israelo–palestinese diventa farsa: quando qualcuno tenta di risolverlo tornando al 1948, al Mandato Britannico, agli ottomani, alle tribù beduine, ai patriarchi biblici o ai confini del Regno di Davide. Ogni volta che un commentatore apre quella porta, non sta cercando la verità: sta cercando un alibi, una scusa per schierarsi senza ammetterlo. La realtà è semplice e scomoda: nel 2025, la storia che conta è l’ultima, non la più antica. Perché il diritto non funziona a ritroso. Le mappe non si annullano. I trattati non si reinterpretano a piacimento. E la geopolitica non usa la nostalgia come criterio operativo. Se vuoi capire il conflitto, non devi tornare “alle origini”. Devi partire dall’ultimo dato disponibile, da ciò che esiste oggi sul terreno e da ciò che le parti hanno firmato. E quell’ultimo dato si chiama Accordi di Oslo II (1995): la spartizione della Cisgiordania nelle celebri zone A, B e C. È l’unico punto fermo che sia riconosciuto da entrambe le parti e dalla comunità internazionale. Tutto il resto è dibattito da talk show.
Oslo: l’unica fotografia legale del territorio
Oslo è un trattato reale, firmato, depositato, applicato. Non è un sogno, non è un mito, non è un post su X. È la base giuridica e politica del presente. La Cisgiordania viene divisa così:
– Zona A: pieno controllo palestinese (civile + sicurezza interna)
– Zona B: amministrazione palestinese, sicurezza condivisa con Israele
– Zona C: pieno controllo israeliano, amministrativo e militare.
È una divisione che le parti hanno accettato. Che non si può “cancellare” con una frase indignata o con un documentario. Che spiega, più di qualsiasi proclama, perché oggi il territorio è così, perché lo scontro è così acceso, perché ogni discussione politica finisce nello stesso vicolo: due esigenze incompatibili che vivono su una mappa fissata trent’anni fa.
Zona A: lo Stato palestinese che esiste a metà
La zona A è il cuore del futuro Stato palestinese. Ramallah, Betlemme, Nablus, Jenin, Tulkarem: tutte città sotto completa autorità palestinese, con polizia palestinese, tribunali palestinesi, amministrazione palestinese. Chi parla come se “i palestinesi non avessero nulla” mente. La zona A esiste. È tutta loro. Ma non è uno Stato: è un arcipelago. Città isolate come isole, senza continuità territoriale, separate da decine di chilometri di zone B e C. È uno Stato teorico senza terra continua. È il cuore senza arterie.
Zona B: la terra di mezzo che nessuno vuole ammettere
Qui la teoria e la realtà collidono. Amministrazione palestinese sì, sicurezza coordinata con Israele sì, ma priva di strumenti veri. È una zona tampone che funziona come un compromesso mal cucito: serve a evitare l’escalation, ma impedisce la sovranità piena. I palestinesi la considerano un controllo mascherato. Gli israeliani la considerano una necessità strategica. Entrambi hanno ragione, ed è questo che la rende così instabile.
Zona C: il nervo scoperto del conflitto
Il 60% della Cisgiordania. La parte agricola, la parte pastorale, la parte strategica, la parte dove sorgono le colonie israeliane e dove vivono comunità palestinesi senza continuità amministrativa. Oslo assegna il controllo completo a Israele fino all’accordo finale. E quell’accordo non è mai arrivato. Qui nascono tutti i nodi: demolizioni, permessi edilizi impossibili da ottenere, espansione delle colonie, comunità palestinesi “non riconosciute”, tensione quotidiana, militarizzazione del territorio. Dire che è tutto “colpa di Oslo” è comodo. La verità è peggiore: è colpa del fatto che né israeliani né palestinesi hanno mai avuto, nello stesso momento, la volontà politica di chiudere un accordo finale. La Zona C è diventata così per inerzia. E nell’inerzia, chi ha più potere vince.
Perché tornare indietro è inutile
Ogni volta che qualcuno invoca “la storia” (la Nakba, il Mandato, i confini ONU del 1947, il 1967, i romanzi epici di entrambe le parti) sta cercando di legittimare una posizione politica con un passato selezionato a piacimento. È propaganda, non analisi. Perché il diritto internazionale non funziona come un’asta delle reliquie: chi arriva con la storia più antica non vince. La sola cosa che conta, oggi, sono gli accordi vigenti. E gli accordi vigenti dicono: qui governano i palestinesi, qui governano tutti e due, qui governa Israele. Questo è il presente. È incastrato, difficile, ingiusto per molti, conveniente per altri. Ma è reale. Tutto il resto è rumore.
La mappa che nessuno vuole guardare davvero
Il problema è che questa divisione non piace a nessuno, e proprio per questo tutti fingono di non vederla. I palestinesi dicono: “Abbiamo la zona A, ma non possiamo muoverci liberamente”. Gli israeliani rispondono: “La zona C è fondamentale per la nostra sicurezza”. La comunità internazionale borbotta frasi diplomatiche senza conseguenze. Le ONG mostrano solo una parte della storia. Gli ultrà filoisraeliani ne mostrano l’altra. I propagandisti filopalestinesi ignorano i dati reali. I russi ci si buttano a pesce per indebolire l’Europa. E il pubblico, confuso, pensa che la storia inizi ogni volta dal punto che fa comodo alla propria ideologia. La verità è molto più semplice: se non parti da Oslo, non puoi capire nulla. E se non guardi la mappa attuale, tutto il resto è retorica.
Il nodo finale: nessuno può riscrivere la storia, ma tutti possono ignorare il presente
La spartizione in zone è figlia di un compromesso imperfetto, nato male e gestito peggio. Ma è l’unico documento reale che definisce il territorio. Finché non verrà sostituito da un accordo definitivo, tutto ruota attorno a questo. Non si può tornare al 1948. Non si può tornare al 1967. Non si può tornare a ciò che “sarebbe dovuto accadere”. Si può solo guardare ciò che è. E ciò che è dice che questa terra non è contesa perché manca la storia. È contesa perché manca il futuro. Il passato è un alibi. Il presente è un vicolo. Il futuro è un buco nero che nessuno vuole riempire. Finché non si parte dall’ultimo dato, la mappa resterà la stessa: tre zone, due popoli, zero compromessi. E una sola certezza: nessuno vince finché tutti fingono che la storia si possa riscrivere. È inutile agitarsi: la storia è questa, che piaccia o no.