«Il Papa in Libano segno di speranza e aiuto alla pace»
IL GENERALE ABAGNARA «Il Papa in Libano segno di speranza e aiuto alla pace». Parla il generale Diodato Abagnara che guida la missione Unifil lungo il confine con Israele dove si susseguono gli attacchi. «Dal Pontefice un incoraggiamento a chi opera per il bene della gente. C’è bisogno di coraggio e ascolto» Roma non solo venti di guerra, macerie e ancora raid da oltre confine. Nel Sud del Libano arriva anche l’eco «di incoraggiamento e di fiducia» del viaggio di Leone XIV, come lo definisce il generale Diodato Abagnara. Da giugno è il capo missione e comandante della Forza Unifil che dal 1978 presidia l’area meridionale del Paese e la Blue line che corre lungo la frontiera con Israele. Terra ancora sotto il fuoco di Tel Aviv, nonostante la tregua sancita esattamente un anno fa che ha congelato due anni di conflitto tra Israele e Hezbollah. I blitz sulla popolazione non si sono interrotti. E nei giorni scorsi c’è stata anche la “sortita” israeliana a colpi di mitragliatrice che ha investito le truppe Onu. È in una nazione dove gli attacchi si fanno sentire a cadenza quasi giornaliera quella che il Papa ha scelto di visitare: da domenica prossima a martedì 2 dicembre. Dopo la tappa “ecumenica” in Turchia per i 1.700 anni del Concilio di Nicea in programma da giovedì a domenica, il Pontefice sarà in uno dei Paesi del Medio Oriente feriti da combattimenti e rancori. «La pace non è un concetto astratto, ma un impegno quotidiano che richiede coraggio, ascolto e rispetto reciproco», spiega ad Avvenire il generale Abagnara. Come ha ricordato anche ieri il Pontefice in piazza San Pietro sottolineando che serve “prendere posizione dove la dignità umana è calpestata”. «La visita di Leone XIV – racconta Abagnara – rappresenta un momento di profonda speranza per il Libano e per tutti coloro che operano per la pace. Il motto scelto, “Beati gli operatori di pace”, riflette perfettamente la missione Unifil: uomini e donne provenienti da circa cinquanta Paesi diversi che ogni giorno lavorano per prevenire le tensioni e favorire il dialogo». “Soldati di pace”, diecimila in tutto, che tornano a essere guidati da un italiano. Generale, il Papa sarà tre giorni a Beirut e dintorni. Mancano le condizioni di sicurezza per una “deviazione” nel Sud? Il Sud del Libano resta un’area delicata, ma non possiamo definirla insicura. La situazione è complessa, perché qui convergono tensioni regionali e dinamiche locali, ma la presenza di Unifil e la cooperazione costante con le Forze armate libanesi garantiscono un presidio di stabilità. Gli standard di sicurezza richiesti per una visita papale sono naturalmente elevatissimi. In questo senso, la valutazione delle autorità libanesi è prudente e comprensibile. L’area del Libano che guarda verso Israele è devastata. Qual è adesso la situazione? Le difficoltà economiche e sociali sono molto evidenti: mancano risorse, molti giovani emigrano, le comunità locali faticano a garantire servizi di base. Tuttavia, si percepisce un grande senso di dignità, volontà di resistere e di ricominciare. Unifil opera in stretto contatto con i sindaci, le scuole, gli ospedali e le autorità religiose per sostenere progetti concreti come forniture sanitarie, energia, acqua potabile, istruzione. Sono piccoli gesti, ma in un contesto fragile fanno la differenza. La presenza Onu non è solo presidio, ma appunto anche vicinanza alla popolazione. Il nostro primo dovere è la sicurezza dei civili. E accanto a questo Unifil porta avanti centinaia di iniziative a favore delle comunità: scuole, cliniche, progetti agricoli, microelettrificazione, formazione per donne e giovani. Tutto è fatto in coordinamento con le autorità locali e nel pieno rispetto del mandato. È la dimostrazione che la sicurezza e lo sviluppo umano sono due facce della stessa medaglia. Giovanni Paolo II definiva il Libano un “Paese messaggio” per la coabitazione di diciotto comunità religiose che i caschi blu incrociano nelle loro attività. Quanto il fattore religioso può contr
ibuire a una convivenza pacifica? Il pluralismo religioso del Libano è un patrimonio da proteggere. Ciò rende il Paese un laboratorio di dialogo. La religione, se vissuta come testimonianza di pace, può essere un potente fattore di riconciliazione. Unifil, pur non avendo un ruolo religioso, lavora ogni giorno perché le condizioni di sicurezza permettano alle diverse comunità di vivere insieme, con rispetto e fiducia reciproca. Il Consiglio di sicurezza ha confermato la missione fino al 31 dicembre 2026. Poi potrebbe profilarsi un ritiro delle truppe Onu, caldeggiato da Usa e Israele. Una svolta dopo 47 anni di presenza iniziata nel 1978 a seguito dell’invasione del Libano da parte israeliana? La proroga di ormai 14 mesi conferma il valore del lavoro di Unifil e la fiducia del Consiglio di Sicurezza. Ogni riflessione sul futuro è legittima, ma un eventuale ridimensionamento dovrà avvenire in modo graduale, coordinato e soprattutto basato sulle capacità delle istituzioni libanesi di assicurare la piena sovranità sul territorio. Il nostro obiettivo è accompagnare questa transizione, rafforzando le Forze armate libanesi affinché siano in grado di gestire in autonomia la sicurezza a sud del fiume Litani. Come tenere sotto controllo un’area così delicata per tutto il Medio Oriente? Attraverso presenza, trasparenza e dialogo. Ogni giorno migliaia di peacekeeper pattugliano la Blue line e le aree limitrofe. Ma il vero valore aggiunto di Unifil risiede nell’attuale meccanismo Pentalaterale, che ha evoluto e sostituito il precedente formato Tripartito. Questo nuovo metodo di consultazione riunisce Unifil, Stati Uniti, Francia, Forze armate libanesi e Forze di difesa israeliane, offrendo una piattaforma più ampia e coordinata per affrontare le questioni di sicurezza, prevenire le escalation e mantenere aperto il dialogo lungo la Blue line. Quale l’apporto specifico del contingente italiano? Dal 1978 la presenza italiana in Libano rappresenta un punto di riferimento costante per stabilità, dialogo e cooperazione. L’apporto del contingente italiano è riconosciuto e rispettato da tutte le parti: la nostra forza risiede nella professionalità, nella capacità di ascolto e nella credibilità costruita sul terreno, giorno dopo giorno. L’Italia non impone, ma accompagna. Opera con equilibrio, umanità e profondo rispetto per la cultura locale. Anche nei momenti più complessi, il metodo italiano, fatto di vicinanza alle comunità, disciplina, cuore e senso del dovere, ha contribuito a costruire fiducia, ridurre tensioni e rafforzare la percezione di sicurezza. Oggi il contributo italiano è ancora più rilevante. L’Italia guida il settore Ovest, con oltre 1.300 uomini e donne, una delle aree più sensibili dell’intera operazione, garantendo la libertà di movimento di Unifil, il coordinamento con le Forze armate libanesi e il supporto ai meccanismi di de-escalation lungo la Blue line. Come si opera sul campo? La presenza italiana comprende capacità operative altamente qualificate, che permettono alla missione di mantenere una reattività immediata anche in condizioni operative particolarmente complesse. Parallelamente, l’Italia offre un contributo unico nel campo del supporto alla popolazione, grazie a progetti che alleviano le difficoltà quotidiane delle comunità e rafforzano il legame di fiducia con la popolazione. Allo stesso tempo, il nostro Paese continua a essere fortemente impegnato nella formazione delle Forza armate libanesi nel quadro della stabilizzazione del South Litani Sector, sostenendo la crescita e la modernizzazione delle istituzioni di sicurezza libanesi. Come la leadership italiana ha più volte ricordato, l’impegno in Libano «testimonia l’identità del Paese come costruttore di sicurezza e promotore di stabilità nel Mediterraneo allargato». È un impegno che coniuga professionalità militare, sensibilità umana e responsabilità internazionale, e che trova proprio in Unifil uno dei suoi esempi più significativi e riconosciuti.