Israele rompe la tregua, attacchi aerei a Beirut: «Capi di Hezbollah uccisi»
Quasi trenta feriti, cinque morti, ma soprattutto una vittima illustre, Haitham Tabatabai, comandante militare di Hezbollah e “numero due” della milizia. È questo il bilancio finale dell’attacco israeliano nella periferia sud di Beirut. Un raid chirurgico. Un bombardamento con sei missili che ha centrato un palazzo di nove piani e che ha riportato le lancette dell’orologio indietro di più di un anno, da prima che iniziasse il cessate il fuoco tra le Israel defense forces e il movimento sciita. E il segnale, a questo punto, è arrivato forte e chiaro: il pericolo di un’escalation che coinvolga tutto il Libano è di nuovo dietro l’angolo. TENSIONI La situazione appare tesa ormai da settimane. I raid israeliani si sono fatti sempre più intensi, colpendo sia il sud del Libano che la valle della Beqaa. L’intelligence dello Stato ebraico e quella statunitense confermano da tempo che Hezbollah sta ripristinando le sue forze. E il governo di Beirut, pressato da Tel Aviv, da Washington ma anche dalle cancellerie arabe, non riesce ad adempiere al piano di disarmo di Hezbollah. Il lavoro è complesso e le forze armate libanesi appaiono impreparato ma anche con mezzi inadeguati. Il Partito di Dio, inoltre, non è solo profondamente radicato in alcune zone che da sempre sono i suoi “santuari”, ma ha anche una base di consenso in diversi strati della popolazione. E per il presidente Joseph Aoun e il premier Nawaf Salam, trovare un equilibrio è molto difficile. Da un lato devono scongiurare che il Paese dei cedri sprofondi in un’altra guerra. Dall’altro, devono evitare di apparire come partner di Israele e sperano che la comunità internazionale fermi l’escalation. «In questo momento critico, la priorità del governo è proteggere il popolo libanese e impedire al Paese di scivolare su sentieri pericolosi», ha affermato Salam. Ma la situazione rischia ora di sfuggire di mano. NEL MIRINO L’uccisione di Tabatabai, per Hezbollah, è un colpo duro. Dopo gli omicidi delle alte sfere della milizia, Tabatabai era diventato di fatto il capo di stato maggiore del gruppo libanese. Un uomo influente, già comandante dell’élite di Hezbollah, la Forza Radwan, e noto anche in Siria, Yemen e Iraq. E se per il Partito di Dio è l’ultimo «martire» di una guerra che ha decimato le sue gerarchie militari, per Israele è un colpo che serve a far capire al movimento che la sua ala più dura è ancora nel mirino. E che l’Idf può colpire ovunque. «Continueremo ad agire con tutte le nostre forze contro Hezbollah e a impedirgli di tornare a rappresentare una minaccia per i nostri cittadini», ha detto il premier Benyamin Netanyahu, che ha definito Tabatabai «un assassino sanguinario, con le mani sporche del sangue di israeliani e americani». Ma per il primo ministro, l’attacco, che secondo Hezbollah è il superamento di un’altra «linea rossa», serve soprattutto a inviare un segnale. Quello che il suo governo, e quindi Israele, non si fermerà finché non saranno eliminati tutti i suoi nemici. E questo vale sia per il Libano, dove la prossima settimana è atteso l’arrivo di Papa Leone XIV, sia per la Striscia di Ga2a. Lì dove la tregua voluta dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump appare sempre più appesa a un filo. ESCALATION Hamas, che continua a rafforzarsi nelle zone non occupate dalle forze israeliane, in questi giorni ha denunciato il pericolo che esploda una nuova escalation. Khalil al-Hayya, uno dei leader del gruppo, è andato in Egitto per discutere con i funzionari del Cairo delle prossime mosse, dell’eventuale fase due ma anche del rischio che riesploda il conflitto. E i raid dell’Idf, con l’ultimo bilancio di 24 morti, sono stati un chiaro campanello d’allarme.