Se l’odio per gli ebrei si riversa sull’Europa

Halter denuncia l’esplosione dell’antisemitismo europeo, con dati quasi raddoppiati nel 2025. L’analisi coglie un problema reale – la sovrapposizione tra critica a Israele e ostilità antiebraica – ma utilizza un linguaggio a tratti eccessivamente allarmistico, che fatica a distinguere tra livelli diversi di odio, propaganda e attivismo politico.

Pochi giorni fa, abbiamo celebrato l’87esimo anniversario della Notte dei Cristalli a Berlino, quando si bruciarono gli ebrei, oltre che i loro libri: quello fu il primo passo verso l’annientamento degli ebrei europei, quello che lo storico polacco Raphael Lemkin chiamò nel 1944 il “genocidio”. Qual è la differenza tra “massacro” e “genocidio”? L’intenzionalità. Alla conferenza di Wannsee del 20 gennaio 1942, i nazisti si dettero l’obiettivo di ripulire completamente l’Europa dai suoi ebrei. Fecero riferimento a quello che gli ottomani avevano fatto con gli armeni all’inizio del secolo. A distanza di ottant’anni, l’odio riappare sotto un’altra forma: il 7 ottobre 2023, un commando di Hamas ha fatto irruzione a un festival pacifista israeliano accanto al confine di Ga2a, uccidendo 1.188 persone, uomini, donne e bambini, ferendone 4.834 e prendendo in ostaggio 251 persone, tra cui molti bambini. È stato uno dei più grandi massacri di ebrei dalla Seconda guerra mondiale. Qualora si rivelasse essere – come risulta da alcuni documenti di cui gli israeliani sono entrati in possesso- il primo atto del progetto di annientamento degli ebrei di Israele, si tratterebbe di genocidio. In caso contrario, si parla di massacro. Atroce, certo, ma massacro. La differenza tra i due avvenimenti è l’esistenza dello Stato di Israele. Uno Stato che, aggredito, risponde. Come tutti gli Stati. Che fortuna insperata per gli antisemiti di tutto il mondo! Gli ebrei uccidono. È un’occasione, forse, per ripulire la cattiva coscienza ereditata dai testimoni di uno dei più grandi massacri della Storia, se non altro per numero di morti, e i mezzi adottati per liquidarli, quelli degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale, sotto lo sguardo indifferente dell’umanità. Ed ecco che manifestazioni oceaniche riempiono le strade delle grandi città di tutto il mondo. Sono manifestazioni che superano per ampiezza quelle contro la guerra del Vietnam a suo tempo. Con una palese differenza: all’epoca la gente gridava “pace in Vietnam!”. Dalla bocca di coloro che oggi solidarizzano con Ga2a, invece, la parola “pace” è scomparsa. A rappresentare il Male, il Male da combattere, non è più il governo, ma tutto Israele. Tanto peggio per gli artisti e i cantanti pacifisti israeliani che vengono fischiati quando prendono parte ai festival internazionali. Tanto peggio per gli eruditi israeliani che contestano la politica dei loro governi e non sono più invitati ai congressi scientifici. Tanto peggio per gli studenti israeliani, che in passato erano invitati a trascorrere le loro vacanze con gli amici all’estero. Tanto peggio, soprattutto, per i francesi, gli americani o gli inglesi di origine ebraica che vengono ridotti soltanto alla loro appartenenza etnica. Oggi sono quei lebbrosi medievali responsabili di tutte le nostre sventure di cui parla Jean Delumeau in “La paura in Occidente”. Secondo il rapporto del 2024 dell’Fbi, negli Stati Uniti – dove risiede la maggioranza degli ebrei nel mondo – il 70% dei crimini d’odio a sfondo religioso colpisce loro. Quanto alla Francia, secondo un’inchiesta del settimanale L’Express, il 57% di tutte le aggressioni a sfondo razzista prende di mira gli ebrei che costituiscono meno dell’1% della popolazione. In Italia, la situazione sta degenerando nello stesso modo, a tutta velocità. L’Osservatorio italiano antisemitismo stima in 877 le azioni antisemite commesse dall’inizio dell’anno in corso, contro le 454 dello stesso periodo dell’anno scorso. La maggioranza di questi episodi si verifica online, soprattutto sui social network come Facebook, Instagram e TikTok. In tutti i conflitti armati, si inneggia a coloro che si oppongono alla guerra voluta e guidata dai loro dirigenti politici. Ricordiamoci dell’accoglienza riservata a Joan Baez o a Bob Dylan mentre le bombe americane uccidevano con il napalm centinaia di migliaia di vietnamiti. Di questi tempi, abbiamo assistito a una sola manifestazione a sostegno di quei milioni di giovani israeliani che protestano tutti i giorni contro la politica del loro governo, contro la guerra di Ga2a, per la liberazione degli ostaggi e per una soluzione a due Stati? Questo, infatti, era quanto prevedevano gli accordi del 13 settembre 1993 firmati tra il Primo ministro israeliano Yitzhak Rabin e il capo dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, Yasser Arafat, alla presenza del presidente americano Bill Clinton a Washington. Quell’accordo oggi è dimenticato sia dai palestinesi stessi sia da Israele e dai media internazionali. Quanto ai milioni di ebrei sparsi nel mondo, sospettati dai benpensanti di essere “conniventi con Israele”, non resta loro altro da fare che cercare riparo e protezione presso i Paesi in cui abitano da secoli, nella maggior parte dei casi, e brandire la memoria della Shoah. I nuovi antisemiti di fatto stanno ritorcendo la Shoah, che i negazionisti non sono riusciti a far vacillare, contro gli ebrei stessi. Gli ebrei che, in questo periodo, stanno “genocidiando” un altro popolo. Questo verbo non esisteva nei dizionari, ma è stato inventato proprio in occasione della guerra di Ga2a. In ogni caso, avrebbero potuto utilizzare un altro termine, per esempio “populicidio”, inventato da Gracchus Babeuf sotto la Rivoluzione francese per parlare dei massacri delle popolazioni civili in Vandea. «Dare un nome sbagliato alle cose contribuisce all’infelicità del mondo», diceva Albert Camus. È sufficiente guardarci attorno per renderci conto che Camus aveva ragione. Nel caso della maggior parte di coloro che urlano “Ga2a! Ga2a!”, non è questione di difendere un popolo in guerra, bensì di togliere l’ultima difesa a un altro popolo che è stato sempre in pericolo di morte. Ma, come tutte le guerre, quella di Ga2a è finita. Avrebbe potuto finire prima, ma la Storia non segue un calendario preciso. E così, dopo la gioia di ritrovare i vivi, si inizierà a piangere i morti e la distruzione. Poi verrà il tempo dei regolamenti di conti. Hamas sta già liquidando i suoi “traditori”, prima di essere giudicata tra poco dal suo stesso popolo per i crimini che ha commesso. In Israele, i tribunali sono impegnati contro i responsabili che hanno permesso il 7 ottobre. Il presidente Trump ha chiesto in anticipo al suo omologo israeliano Herzog la grazia per il Primo ministro Netanyahu. E poi? Che cosa accadrà? Il progetto si ferma qui. Certo, esiste una casa comune – gli Accordi di Abramo – che può, in attesa di una soluzione palestinese, accogliere tutti quanti. E non è poco. I media ne parleranno per almeno un anno. E da noi? Che cosa sta succedendo da noi in Francia, e da noi in Europa, dove il conflitto di Ga2a è stato usato dalle forze politiche come un mezzo di mobilitazione e ha emancipato il razzismo, soprattutto l’odio per gli ebrei, come non accadeva dai tempi dell’epoca nazista? Come si può rimettere il dentifricio antisemita dentro il suo tubetto? Nel frattempo, le televisioni di tutto il mondo ci mostrano schiere di palestinesi che prendono la strada del ritorno. Il popolo “genocidiato” risuscitato. Adesso, in ogni caso, occorre accoglierlo, farlo stabilire. Io, bambino a Varsavia, sogno che il pesante cancello di ferro di Auschwitz si spalanchi di colpo e che ne escano milioni di ebrei bruciati, “genocidiati”, resuscitati, e che si incamminino verso le loro case. Ma non è altro che un sogno. Quanto a noi, saremo capaci di adire i tribunali contro coloro che, vomitando odio contro gli ebrei, sono responsabili della morte di esseri umani e del deterioramento dell’edificio democratico costruito dalle generazioni prima di noi? Saremo capaci di riallacciare il dialogo tra comunità che nello sguardo hanno odio per l’altro, un odio che impiegheremo molto tempo a estinguere? Bisognerà rispondere a queste domande. E rapidamente. L’odio, infatti, non aspetta mai.

Il grande archivio di Israele

Abbonamenti de Il Riformista

In partnership esclusiva tra il Riformista e JNS

ABBONATI