Enzo lacchetti cerca visibilità facendo l’antisemita in tv
Enzo Iacchetti cerca visibilità facendo l’antisemita in tv a Notizia del giorno, dicono, è che l’Unione delle Comunità ebraiche (UCEI) ha denunciato Enzo Iacchetti per antisemitismo. In un paese normale la breaking news sarebbe: «Ah, quindi Enzo Iacchetti esiste ancora?». E invece no: tocca parlare di un comico al tramonto che, invece di godersi la pensione televisiva, ha deciso di riciclarsi in esperto di geopolitica e teorie del complotto in prima serata. L’UCEI gli contesta di aver demonizzato Israele e il popolo ebraico, rilanciando in Tv stereotipi che hanno alimentato l’antisemitismo per secoli. Non è solo per la sua famosa scenata con minacce di pugni in studio; è il salto di qualità: dal talk show urlato al vecchio repertorio sulle “banche controllate dai sionisti” e sul “potere che domina il mondo”, roba che nei manuali è catalogata sotto la voce “propaganda anni ’30”, non certo “satira impegnata”. Qui scatta il paradosso italiano: da un lato ti viene da dire “ma chi se lo fila questo?”, dall’altro ti ricordi che quelle frasi sono andate in onda davanti a centinaia di migliaia di persone senza che la conduttrice o gli ospiti trovassero il tempo di dire almeno un “Guarda, forse no”. Il problema non è il singolo comico stanco, è il format che trasforma la paranoia in intrattenimento e la storia dell’odio antiebraico in un pretesto per fare share. L’UCEI sceglie la strada della denuncia per istigazione all’odio razziale, richiamando l’articolo 604 bis del codice penale. Qualcuno dirà che così gli si regala centralità, che lo si nobilita persino: da ex conduttore di Striscia la Notizia a martire della libertà d’opinione. Però qual è l’alternativa? Far finta di niente, come se tirare fuori i soliti cliché sul “complotto ebraico” fosse una bizzarria da zio (molto) ubriaco al pranzo di Natale? La verità è che, in un paese in cui si minimizza su tutto, ogni tanto qualcuno deve pur mettere un paletto e dire: no, questo no, nemmeno se lo dice un comico che ha esaurito le gag e ora pesca nel catalogo dell’estrema destra novecentesca. Il guaio è che Iacchetti passerà qualche giorno a fare la vittima del “pensiero unico”, i talk ci camperanno un altro paio di puntate, e poi si tornerà al solito rumore di fondo. Forse la sanzione più efficace non sarà una condanna, ma il silenzio: niente più inviti, niente più risse telegeniche, niente più sfoghi in diretta. Lì sì che capiremo chi davvero “se lo fila” ancora: se il pubblico italiano, la sua famiglia, il cane… o solo il suo avvocato.