I dispersi che il mondo non vede: migliaia i corpi sotto le macerie
Dalla fase iniziale della guerra a Gaza, i dati del ministero della sanità indicano che oltre 7mila persone sono presumibilmente sepolte sotto le macerie. Tra queste, circa 3.600 famiglie hanno denunciato la scomparsa dei propri cari, una tragedia umana immensa che va ben oltre le cifre ufficiali delle vittime. IN MEZZO A QUESTI numeri dolorosi, porto anch’io una parte di questa tragedia. La famiglia di mio padre è tra i dispersi sotto le macerie fin dai primi mesi della guerra. Dieci persone, tra cui bambini, sono ancora lì, senza che abbiamo potuto salutarle. A oggi non abbiamo potuto garantir loro una sepoltura dignitosa, né pregare su di loro; non esiste una tomba da visitare, né un luogo che possa alleviare il peso di questa perdita. Attendere per mesi un segno, una notizia, un indizio, è un dolore che non appare in nessuna statistica, ma che abita la vita di chiunque abbia qualcuno ancora sotto le macerie. Le squadre di soccorso a Gaza lavorano in una delle condizioni umanitarie più difficili al mondo. Per raggiungere i dispersi servono macchinari pesanti per sollevare e rimuovere le macerie, ma la maggior parte di queste attrezzature non è disponibile o è fuori uso a causa dei bombardamenti, della mancanza di carburante e dell’assenza di pezzi di ricambio. Molti edifici sono crollati uno sull’altro, creando strati enormi di cemento impossibili da penetrare con strumenti rudimentali. Inoltre, le zone di ricerca vengono spesso bombardate, costringendo i soccorritori a fermarsi o a ritirarsi per proteggere la propria vita. Il recupero dei dispersi estremamente difficile e lento lascia migliaia di famiglie in un’attesa estenuante. In una breve conversazione con Mohammed al-Madhoun, uno dei soccorritori, la stanchezza nella sua voce era evidente ancora prima delle parole. Mi ha raccontato che la parte più difficile non è solo il peso delle macerie, ma il peso del momento stesso: quando sentono la voce di un bambino che chiede aiuto da sotto il cemento e non hanno gli strumenti adeguati per raggiungerlo rapidamente. MOLTE OPERAZIONI vengono svolte a mani nude o con attrezzi semplicissimi, del tutto insufficienti rispetto alla portata della catastrofe, e nonostante ciò continuano a tentare, un passo dopo l’altro. Mohammed mi ha parlato delle ore passate con i colleghi nelle zone bombardate, muovendosi pur sapendo che ogni istante potrebbe essere l’ultimo. Eppure si dirigono sempre verso i luoghi dove si pensa possano esserci dei bambini, convinti che salvare anche una sola vita valga ogni rischio. Mi ha descritto i suoi compagni come persone che «entrano nei siti come se entrassero nelle loro case», senza pensare ad altro che a raggiungere quella voce, quel respiro nascosto tra le macerie. Si sono mobilitati sforzi straordinari per recuperare i resti di ventotto israeliani, mentre migliaia di palestinesi rimangono sotto le macerie senza squadre di soccorso, senza mezzi, senza il minimo interesse globale. Questo divario non riflette solo un pregiudizio politico, ma un’idea gerarchica del valore umano, in cui la vita di alcuni riceve priorità assoluta mentre altre vengono lasciate a un destino silenzioso, percepito solo dalle loro famiglie. Un’ingiustizia che colpisce profondamente la psiche delle persone, costrette a vivere tra perdita e incertezza, private perfino del diritto basilare di seppellire i propri cari, come se la loro morte non meriti riconoscimento né compassione. Lasciare migliaia di vittime sotto le macerie non è un destino inevitabile, ma il risultato diretto dell’assenza di giustizia e della decisione del mondo di voltarsi dall’altra parte rispetto alla sofferenza di un popolo che chiede soltanto dignità. C’È UN BISOGNO urgente di meccanismi umanitari indipendenti e di un intervento internazionale che ponga fine a questa disuguaglianza e che restituisca ai morti il loro diritto a essere ritrovati, identificati e sepolti con dignità. Restituire dignità ai morti è il primo passo per restituirla ai vivi e per costruire una memoria fondata non sulla rimozione, ma sul riconoscimento e sulla giustizia.