L’economia palestinese è collassata
Cruciati trasforma il rapporto ONU in un atto d’accusa unidirezionale contro Israele, ignorando completamente il ruolo di Hamas, la corruzione interna e la scelta di investire nelle infrastrutture militari anziché civili. Il pezzo riduce un quadro complesso a una narrazione ideologica e non offre alcuna chiave di lettura per comprendere come si possa uscire dall’attuale crisi.
L’economia dei Territori palestinesi occupati è tornata indietro di vent’anni, gettando milioni di persone nella povertà. A certificarlo è l’Onu mentre Gaza è sommersa da pioggia e macerie e in Cisgiordania i coloni ricevono in premio terre dal governo israeliano. Il disegno di legge approvato ieri dalla commissione esteri e difesa della Knesset è volta, nelle dichiarate intenzioni del Likud che l’ha scritta, a «rimuovere le discriminazioni e ripristinare il naturale diritto dei cittadini israeliani alla loro terra». Prevede la rimozione degli ostacoli all’acquisto di terre nella Cisgiordania occupata, a oggi già possibile ma solo passando per compagnie registrate al Cogat, l’ente che «gestisce» per Israele gli affari civili nei Territori palestinesi occupati. Illegalmente, secondo il diritto internazionale, fattore che non ha mai inciso sull’appropriazione di terre altrui. CI SAREBBE da ridere se non fosse solo l’ultima iniziativa di un processo di colonizzazione e apartheid lungo otto decenni. Il Likud nella sua proposta non fa menzione degli ostacoli legislativi che impediscono ai palestinesi cittadini israeliani di acquistare terre nello Stato di cui sono parte (Israele, appunto), né delle continue confische subite dai palestinesi in Cisgiordania. Né tanto meno delle violenze quotidiane e brutali con cui i coloni israeliani fanno avanzare l’agenda di Stato. L’elenco è troppo lungo per le colonne di un giornale. Per citare le ultime: l’incendio appiccato ieri a una fattoria nel villaggio di Mukhamas, vicino Ramallah, e la creazione dell’ennesimo outpost a Shallal al-Auja da cui pochi mesi fa hanno cacciato una comunità beduina a forza di aggressioni. E poi ci sono i morti ammazzati: se il caso dell’attivista del villaggio di Umm al Kheir, Odeh Hathalin, è il più noto (con il suo omicida, il colono Yinon Levi – «punito» con tre giorni di domiciliari), sono almeno 21 gli omicidi di palestinesi per mano di coloni israeliani rimasti senza colpevoli. I numeri li ha dati lunedì l’ong israeliana B’Tselem, descrivendo le uccisioni dei palestinesi come parte della più vasta campagna di pulizia etnica in corso in Cisgiordania. Dal 7 ottobre 2023, sono 1.004 i palestinesi uccisi tra West Bank e Gerusalemme est. Di questi 21 perpetrati direttamente dai coloni, senza che ne seguissero indagini, arresti e incriminazioni. L’ultimo omicidio risale a domenica: il 20enne Bara Khairy Ali Maali, caduto sotto i colpi di pistola dei coloni durante un’incursione nel villaggio di Deir Jarir, compiuta fianco a fianco con i soldati israeliani. L’impunità è assoluta perché serve uno scopo, parte di un matrix di confische, violenze, chiusure che hanno lasciato la Cisgiordania in uno stato di oppressione senza precedenti. Anche dal punto di vista economico: ieri l’Onu lo ha certificato in un rapporto in cui definisce il de-sviluppo di questi due anni come uno dei peggiori a livello globale dal 1960. «I DANNI INGENTI alle infrastrutture, alle risorse produttive e ai servizi pubblici hanno vanificato decenni di progressi socioeconomici nei Territori palestinesi occupati», scrive l’agenzia Unctad. Il Pil è regredito ai livelli del 2010, quello procapite al 2003, trascinando nella povertà milioni di persone. In Cisgiordania e soprattutto a Gaza, un crollo che è la conseguenza del genocidio ma anche di vent’anni di blocchi ed embarghi che hanno reso l’economia palestinese totalmente dipendente dagli aiuti esterni. IL GRIDO DI ALLARME dell’Onu giunge nel pieno di una tregua fittizia che non sta portando a nessun miglioramento nella vita della Striscia. Con all’orizzonte una ricostruzione selettiva, gestita da Usa e Israele solo su metà territorio, i palestinesi sono soli, alle prese con i raid che non cessano (anche ieri 17 feriti, 14 i corpi recuperati sotto le macerie), la diffusione di malattie a causa delle condizioni igieniche e le piogge incessanti che stanno spazzando via anche i pochi rifugi di fortuna che sono casa per due milioni di sfollati da ormai 25 mesi. Le tende, già vetuste, si sbriciolano, il fango si mescola alle macerie, l’acqua distrugge i rari averi e il gelo congela i corpi come le speranze. Le coperte sono zuppe, non scaldano. E dai valichi, aperti da Israele quasi solo ai camion commerciali, non passano né tende nuove né vestiti invernali. Una delle 500 violazioni della tregua da parte israeliana, anche quella impunita. NE HANNO discusso Turchia, Qatar ed Egitto, ieri al Cairo, mentre Hamas consegnava a Tel Aviv il cadavere del 26esimo israeliano morto a Gaza.