La fragile tregua di Gaza e i paletti sauditi. Al via prove di «attacco» contro l’Iran
Nonostante sorrisi e pacche sulle spalle quello che rimane dell’incontro della scorsa settimana fra il Presidente USA Donald Trump e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman è la delusione americana per non essere riusciti a far sedere i sauditi al tavolo delle trattative per la normalizzazione con Gerusalemme, condizione necessaria affinché si realizzino i piani per la pacificazione della regione. Secondo informazioni trapelate, la ricostruzione è di due funzionari americani, il confronto fra il Presidente e il Principe non è stato facile e Trump sarebbe rimasto «deluso e irritato». Il capo della Casa Bianca avrebbe esortato bin Salman ad avviare immediatamente il processo di normalizzazione, ma il Principe, sottolineando che dopo la guerra a Ga2a prevale in Arabia Saudita un forte sentimento anti-israeliano, ha declinato l’offerta: in questo momento un passo del genere sarebbe impossibile. Potrebbe però prendere in considerazione la normalizzazione con lo Stato Ebraico in un momento più favorevole. Alla fine la montagna ha partorito un topolino con l’ambasciata saudita negli Usa che non ha rilasciato commenti mentre la Casa Bianca si è limitata a dichiarare che «il presidente invita tutti i Paesi del Medio Oriente ad aderire agli Accordi di Abramo». Stando all’evoluzione e alla dinamica di ciò che sta accadendo, la maggior parte degli analisti sono concordi che in Medioriente i cessate il fuoco si stanno sgretolando e la domanda sulla ripresa dei combattimenti a Ga2a, Libano e forse anche Siria non è sul “se”, ma sul “quando”. Mentre il dipartimento degli Esteri Usa lavora per creare una situazione di stabilità, sul terreno si delineano segni opposti ai desideri della Casa Bianca. Pur sapendo di non essere in grado di onorare gli impegni, Beirut ha firmato un accordo e ora i nodi vengono al pettine: l’esercito libanese non è in grado di assumere il controllo del Sud del paese e questo porterà in tempi brevi alla nuova ennesima apertura del fronte con Israele. Joseph Khalil Aoun, l’attuale presidente libanese, sta per dare forfait. Somiglia sempre più a un funambolo che prova a rimanere in equilibrio su un filo tenuto da una parte dagli Usa che vogliono al più presto il disarmo di Hetzbollah e dall’altra proprio dalla milizia sciita che con l’aiuto di Teheran si sta riarmando e organizzando. L’eliminazione del Capo di Stato Maggiore di Hetzbollah è stato solo l’inizio delle danze. Ma lo scacchiere non vede in movimento solamente le truppe sul terreno, diversi rapporti di Intelligence arrivati a Langley, sede della Central Intelligence Agency (CIA), da fonti provenienti dall’Iraq danno per certe manovre aeree congiunte fra l’aeronautica israeliana e quella americana. Secondo queste informative un certo numero di caccia da combattimento israeliani, F15 e F 35, sono entrati nello spazio aereo iracheno e hanno simulato manovre di lancio vicino al confine con l’Iran mentre almeno due aerei da rifornimento KC-135 Usa sorvolavano lo stesso quadrante vicino al confine tra Iran e Iraq. Gli aerei cisterna fanno base ad Al Udeid in Qatar. Se questi rapporti dovessero essere confermati si verrebbero a delineare situazioni apparentemente inconciliabili con un Dipartimento di Stato che lavora per la normalizzazione mentre il Pentagono si prepara a scenari di guerra sul fronte aereo con l’Iran insieme all’alleato di sempre. Situazioni però solo apparentemente inconciliabili perché come si diceva nell’antica Roma “Si vis pacem, para bellum”.