Il Libano in cerca del suo futuro. «Ma qui tutti temiamo la guerra»
L’articolo coglie un punto nevralgico della sicurezza regionale: la precaria stabilità del Libano e il rischio di un allargamento del conflitto tra Israele e Hezbollah. L’autore descrive la paura delle nuove generazioni e la situazione di “non guerra e non pace”. L’articolo, pur fornendo dati concreti (come le circa 9.400 violazioni dello spazio aereo libanese contate dall’UNIFIL), presenta questi eventi unicamente come atti di pressione israeliana o di destabilizzazione, concentrandosi sull’emotività della popolazione e sul danno economico. Il tono rischia di apparire squilibrato perché non affronta con pari serietà il ruolo di Hezbollah nell’alimentare il conflitto, nel riarmarsi e nell’utilizzare il territorio libanese come base di attacco, rendendo l’articolo un resoconto parziale della complessità regionale.
Parlare al telefono con Badi è complicata. La connessione va e viene mentre dal nord Libano si dirige verso la capitale Beirut. «È così da tempo oramai», dice mentre con una mezza risata prova a nascondere la rassegnazione Dal 2019 il paese attraversa un girone infernale da cui farà fatica a uscire, Prima la crisi finanziaria, poi la pandemia da covid-19 e poi ancora l’esplosione del porto di Beirut che ha distrutto mezza capitale, cuore economico del paese. E come se non bastasse la guerra tra Hezbollah e Israele. Nonostante questo, Fadi Bejani è rimasto in Libano. Oggi è country manager del programma Work in progress (Wip), un progetto dì sostegno all’imprenditoria gestito dalla ong Pro Terra Sancta. «Dopo l’inizio della crisi nel 2019, abbiamo scoperto che migliaia di giovani hanno lasciato il paese in meno di due anni», spiega Fadi tra un vuoto dì connessione e l’altro, «se ne vanno perché non c’è futuro, a causa di tutta questa instabilità, economica ma anche politica?). Il lavoro di Fadi non è soltanto quello di fornire un supporto finanziario ai giovani che vogliono fare imprenditoria nel paese Vedi alla voce speranza «Proviamo a dare una speranza perché sono distrutta psicologicamente, lavoriamo molto sotto questo aspetto». Difficile in un contesto dove da quando è stato filmato l’accordo di pace tra Hez- bollahe Israele l’Unifil (la missione di peacekeeping dell’Onu) ha contatodrca9.400 violazioni dello spazio aereo libanese e i bombardamenti aerei sono all’ordine del giorno. L’esercito israeliano, inoltre, controlla ancora cinque avamposti strategici lungo ü confine e starebbe costruendo un muro lungo la linea blu. In poche parole, il libano è m uno Stato in cui non c’è guerra e non c’è pace. A fine 2026 la missione Orni concluderà il suo mandato e le truppe internazionali saranno costrette a lasciare l’area di confine. Questo significa avere meno occhi indipendenti che possano denunciare violazioni e violenze LO sa bene Ara Abadjian che vive ad Anjar, un piccolo villaggio di discendenti armeni situato nella valle della Bekaa, una delle aree più prese di mira dall’idf. Ara ha 34 anni. «La nostra zona è abitata quasi esclusivamente da armeni rifugiati dal genocidio di un secolo fa. Anche la mia famiglia è armena, ma siamo tutti nati in Libano», racconta. È un agricoltore per passione ma ha conseguito un master in business. Nel2017 ha creato un orto professionale ed era arrivato a rifornire 15 ristoranti locali Poi è arrivata la crisi economica da cui ne è usato con perseveranza. Ma la guerra ha dato la mazzata finale. «Se hai un’attività imprenditoriale è come se fosse che sono dei pulsanti di reset a cui ti trovi davanti. E ogni volta devi ricominciare sempre da capo», racconta Ara. «Ero arrivato a servire 40 ristoranti, poi è arrivata la guerra e ne sono rimasti tre. Se avessi iniziato nel 2018, in un paese stabile avrei raggiunto 100 ristoranti, ma questo non è il caso del Ubano», Da due anni Ara ha deciso di dedicare la sua vita a un altro progetto, sostenuto dal programma Vrìp. E così ha fondato Avid, un’App basata sull’intelligenza artificiale che fornisce consigli a piccoli agricoltori. «Conosci il gioco di Farmville? Lo applichiamo alla vira reale», dice ridendo. Lia fornisce istruzioni su cosa piantare, come e ßç che area del terreno a disposizione. Lo fa dopo una lunga analisi di dati che tengono m considerazione anche le zone d’ombra di eventuali alberi presentì. L’obiettivo dell’applicazione è quello di aumentare la produttività senza compromettere la sostenibilità ambientale. Sono due anni che lavora a questo progetto, per il quale si serve del lavoro di tre sviluppatori che lavorano in Egitto “Amo il loro accento», spedfica «voglio vivere in questo paese, amo il Ub
ano. Non voglio dipendere dall’economia di questo paese. Ecco perché ho creato un’applicazione mobile e non ho ingrandito la fattoria fisica. Se dovessi di- pendere dall’economia libanese per realizzare i miei sogni non so se ce la farei», dice Ara. Con l’App, infatti, proverà a laudare il suo business nel mercato globale Bellezza è resistenza. Per Joelle AbboudI è ancora più difficile fare business. «Come donna è più complicata quando ho iniziato avevo 25-26 anni, e spesso le persone parlavano del mio brand come se fòsse un “progettino”, un hobby da ragazza. Àïñîòà oggi qualcuno lo fa. Ma per me none un hobby è il mio lavoro a tempo pieno la mia principale fonte di reddito e anche della mia famiglia», racconta. Dopo l’esplosione del porto di Beirut ha fondato una sua azienda di sidncare di prodotti naturali, vegani e di alta qualità. La sua attività è decollata a subito perché in grado di soddisfare un’alta domanda con prezzi competitivi per prodotti sono locali. Anche se solo ora sta recuperando dagli effetti della guerra. «Ho avuto molta paura», dice Joëlle ricordando i primi giorni di conflitto. «Pensava comprare prodotti più la pelle non è una priorità. Devi pensare prima ai beni essenziali», dice. Eppure, la reazione delle donne libanesi l’ha spiazzata; «Ho ricevuto ordini indirizzatiai rifugi. La gente si è abituata all’idea della guerra e ha proseguito la loro vita». «Finora abbiamo avuto quasi 80 imprenditori iscritti al programma e die hanno fatto le sessioni di coaching. Ma quelli che abbiamo sostenuto finanziariamente sono 30», spiega Fadi. «Durante i due mesi e mezzo di guerra, la maggior parte ha interrotto le proprie attività, Tutti i settori sono stati colpiti. Ma appena è finita, sono riprese». Questo discorso non vale però, per aree del paese. Alcuni imprenditori si trovano m aree remote ad esempio ora continuano a bombardare la zona di Baalbek, nel nord-est del libano e quindi è tutto ferma Molto dipenderà da cosa accadrà dopo la visita di Leone XIV che sarà in Libano dal 30 novembre al 2 dicembre. Un viaggio dalla forte valenza simbolica Si tratta della prima grande visita organizzata dal Vaticano che arriva m un m& mento delicato non solo per il Libano ma anche per la vicina Ga2ali viaggio è l’occasione per ribadire l’impegno della Chiesa per la pace e per la tutela della comunità cristiana nella regione «Questo ottobre è stato come luglio e agosto del 2024, un’escalation. Se il cessate il fuoco durerà? Non lo so. Ora come ora, solo una parte lo sta rispettando», dice Fadi «Chiedi m gira tutti si aspettano la guerra. Tutti dicono che succederà qualcosa di grosso. Non prima della visita del papa, ma dopo, se non cambia niente, probabilmente d sarà una nuova guerra».