L'ora del Riformista
Israele, la strategia per vincere. Minniti: “In Libano sarà più facile far ritirare Hezbollah. Lasciare il Global South a Russia e Cina? Un errore”
di HaKol - 25 Ottobre 2024 alle 15:33
Un incontro con noi stessi, con la nostra storia e con il nostro futuro. Si può riassumere così il primo dibattito de L’ora del Riformista, il nuovo appuntamento settimanale del quotidiano che ospita il confronto sui principali temi internazionali e di politica interna. «Israele, la strategia per vincere». Vincere non una guerra regionale o locale, ma di civiltà. Nel panel di partenza si sono confrontati in maniera libera e critica voci autorevoli, protagonisti del mondo del giornalismo, della politica e intellettuali dalla parte dello Stato ebraico.
Per Marco Minniti, a capo della Fondazione Med’Or, il 7 ottobre «è stato un crimine contro l’umanità» e non possono esserci equivoci sul fatto che la risposta di Israele fosse «legittima e doverosa». Ora si è ricostruito un elemento decisivo: un rapporto di fiducia tra il popolo israeliano, le forze armate e l’Intelligence, che dopo il Sabato Nero «era stato messo in discussione». La sfida è quella di costruire una pace stabile e duratura: per l’ex ministro dell’Interno bisogna guardare in Libano. «Lì è più facile far ritirare Hezbollah e abbiamo un potenziale interlocutore: il governo libanese. Bisogna sfidarlo a prendere distanza da Hezbollah e quindi ad assumersi la responsabilità di controllare la Zona Blu insieme a una missione Unifil, rinnovata e con nuove regole di ingaggio. I profughi della zona Nord di Israele potrebbero ritornare nelle loro case, sarebbe un successo straordinario». Allargando lo sguardo, ritiene che sia indispensabile un nuovo Ordine mondiale: «Da solo l’Occidente non lo può costruire. Senza il Global South non si può realizzare. È interesse dell’Europa parlare con una parte importante del Global South. Se noi lasciamo che sia diretto da Cina e Russia, è peggio di un crimine: è un errore».
Ilaria Borletti Buitoni, tra i fondatori dell’Associazione Setteottobre, punta il dito contro il «grande male» che sta danneggiando Israele: «La semplificazione nella lettura di una situazione complicatissima». Quanto a Gaza, l’ex presidente del FAI sottolinea l’importanza di un percorso di pace e di una traiettoria politica «perché effettivamente quello a cui noi assistiamo dal punto di vista umanitario non può reggere a lungo». Discorso diverso e più complesso invece per il Libano, «perché c’è anche la complicità dimostrata dell’Unifil nel lasciare Hezbollah espandersi come ha potuto fare». Dunque il coinvolgimento centrale dei maggiori paesi arabi, che sono parte di questo scenario geopolitico, «è l’unico elemento da cui partire per poter veramente arrivare domani a un percorso diverso da quello a cui stiamo assistendo in questi giorni».
Fondamentale anche il punto di vista di Goffredo Buccini, giornalista del Corriere della Sera che svolge un lavoro coraggioso al fianco della verità, secondo cui Israele si trova a un «bivio esistenziale» tra la vittoria e la solitudine. Ora è emerso chiaramente che si tratta di una guerra vera con l’Iran: «Il cuore del problema è a Tehran, e questo è un problema ineludibile da una parte; dall’altra però è un problema che se viene portato alle estreme conseguenze può comportare effetti devastanti». La soluzione è trovare un equilibrio tra la strategia di concentrarsi sulla parte Nord del conflitto e la necessità di riguadagnare una posizione politica su Gaza: «Verrà un tempo in cui bisogna fare politica. Israele è costretto, prima o poi, ad accettarlo. La guerra si dovrà fermare in alcuni punti per aprire alla politica, e a Gaza significa aprire la strada a una leadership palestinese credibile».
Israele sta combattendo anche per la difesa dei valori occidentali, ma la considerazione rischia di restare inascoltata da società occidentali immature o troppo contaminate da retoriche avverse. Per questo Iuri Maria Prado, firma del Riformista su cui cura la rubrica 6 Punte, tira in ballo la comunità internazionale: «Ricordate qualcuno che, pur deplorando la terrificante situazione della popolazione a Gaza, abbia fatto pressioni necessarie su Hamas affinché si arrendesse? Ricordate una volta in cui, accanto al cessate il fuoco, sia stato chiesto a Hezbollah di abbassare le armi? Non lo ricordate perché questo non è avvenuto».
Di certo non aiuta la «narrazione amputata e completamente distorta» che prima viene diffusa dai mezzi di informazioni tradizionali e poi amplificata dai social. Su questo punto Angelica Albi, animatrice dei profili social dell’Associazione Setteottobre, invita a non cadere nella trappola della propaganda sulla Rete: «Israele viene descritto in maniera assolutamente inveritiera, come se fosse un’entità sanguinaria che agisce per fini malvagi e non un paese che sta esercitando il diritto di difesa. Così vogliono sminuire il 7 ottobre, far dimenticare il Sabato Nero. La ripetizione spasmodica della cifra offerta da Hamas sui morti civili serve a oscurare, a sovrastare i morti veri del 7 ottobre».