La guerra "illegale" a prescindere
L’esistenza di Israele sotto processo, diritto internazionale e tribunali editoriali a senso unico: ogni azione dell’Idf diventa un crimine
di Iuri Maria Prado - 20 Maggio 2025 alle 13:46
Non c’è una guerra che, come quella combattuta da Israele a Gaza, sia stata sottoposta all’occhio inquirente della comunità internazionale incaparbita, minuto per minuto e proiettile per proiettile, a valutarne la “legalità”. Naturalmente per negare ne fosse provvista.
Quella guerra – con la quale Israele reagiva contro chi l’aveva cominciata – era giudicata comunemente “illegale” non per come Israele l’avrebbe combattuta, ma per il fatto stesso che Israele la combattesse. Ed era un giudizio che addirittura precedeva l’inizio della reazione israeliana, perché i tribunali editoriali e le pubbliche accuse delle organizzazioni internazionali denunciavano l’illegalità dell’azione bellica dello Stato ebraico prima che questo sparasse anche solo un colpo. Ma si noti: quella preventiva dichiarazione di illegalità delle mosse israeliane non era lungimiranza verso i crimini che Israele, secondo quell’impostazione pregiudiziale, avrebbe commesso di lì a poco; era, al contrario, la destituzione originaria del diritto di Israele di assumere qualsiasi iniziativa armata.
Il crimine è fare la guerra
Sulla base di questa rappresentazione storta, lo Stato ebraico non era mandato a giudizio dalla comunità internazionale perché, nel fare la guerra di Gaza, avrebbe compiuto questo o quel crimine di guerra, ma perché era un crimine il fatto stesso che facesse la guerra. Un approccio giudicante, questo, buono per uno smagato filantropo o per un discorso domenicale di un Papa universalmente misericordioso, ma del tutto incongruo politicamente e, soprattutto, disastrosamente sgangherato dal punto di vista giuridico.
L’invocazione impropria del diritto internazionale, cioè il feticcio tirato in campo a condanna di ogni minuto rintoccato durante la guerra di Gaza, prendeva il diritto di guerra – che disciplina i limiti relativi di ciò che in guerra non si può fare – e lo trasfigurava nell’inesistente dovere assoluto di non farla. Quel ribaltamento era organizzato con l’intenzione, o comunque aveva l’effetto, di accreditare il principio bizzarro secondo cui la guerra in sé contravviene all’ordinamento giuridico.
Delegittimare Israele, non fare giustizia
Un principio, tuttavia, valevole solo per Israele, cioè una regola di singolare applicazione che fa piazza pulita proprio del diritto (il diritto bellico) invocato contro lo Stato ebraico a condanna non già di un crimine di guerra, ma della guerra come crimine.
Si noti, ancora, come in forza di questa perversa impostazione risulti pregiudicata la stessa possibilità che siano prevenuti e sanzionati eventuali crimini che siano stati o possano essere commessi – com’è ricorrente pressoché in ogni conflitto – nella guerra di Gaza. Se questa non è stata altro che una lunga teoria di crimini – anzi se essa costituisce in sé, integralmente e intrinsecamente, un crimine – allora non c’è più spazio per identificarne gli episodi eventualmente criminali. Ma tutto questo serve a delegittimare Israele, non a fare giustizia. Salvo credere – e in effetti lo credono in molti – che il trionfo della giustizia internazionale risieda appunto nella delegittimazione di Israele.