Le paure
Mercati, Israele è forte dei suoi “unicorni”. Roma e Tel Aviv restano amiche, ma cosa succederebbe con un dazio antisemita?
di HaKol - 23 Maggio 2025 alle 08:45
La merceria di via Statuto a Milano fa il paio con la pizzeria napoletana. Entrambe respingono clienti sionisti. E danno per scontato che chi entra nella prima, per comprare delle calze, o si sieda ai tavoli della seconda, per ordinare una Margherita, dichiari la propria visione politica. A meno che i proprietari non pretendano che i loro potenziali avventori indossino qualche segno distintivo… Per la merceria, in piena zona fighetta, c’è da aggiungere che il cartello è scritto solo in ebraico: “Gli israeliani sionisti non sono benvenuti qui”. Monito ipocrita. Fatto per evitare problemi con il ghisa di turno.
Un rumore di sottofondo
Episodi isolati. È giusto sottolinearlo. Perché Italia e Israele sono nazioni amiche. Culture con tanta storia in comune. E uno stile di vita mediterraneo praticamente uguale. «D’altra parte, è come se ci fosse un rumore di sottofondo», ci spiegano dall’ufficio commerciale a Milano dell’Ambasciata israeliana in Italia. «Il pregiudizio e l’antisemitismo sono problemi frequenti nel mondo politico, oppure accademico. Del tutto diversa è la situazione in quello delle imprese». Al netto di Moro, Craxi, Olp e magari della stazione di Bologna – insomma dell’affresco in chiaroscuro della Prima repubblica – i legami commerciali Roma-Tel Aviv sono consolidati. Quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario del primo accordo commerciale. Ed è strano che non se ne parli. Da allora, più volte i rispettivi governi si sono seduti a un tavolo per accordi di collaborazione in ambito doganale, del trasferimento tecnologico, fino ad arrivare all’accordo del 2018, sulla sicurezza.
Un dazio antisemita
Per questo, pensando al boicottaggio dei prodotti israeliani, oppure al no entry per gli israeliani sionisti – quindi quelli non sionisti possono entrare? – viene da chiedersi cosa succederebbe se davvero si chiudessero le frontiere. Quali sarebbero le conseguenze di un dazio antisemita? In termini di volumi economici, non stiamo parlando di grandi cifre. Nel 2023, la bilancia commerciale tra Israele e Italia è stata di 4,25 miliardi di euro. Con un saldo in favore delle esportazioni italiane, che hanno raggiunto 3 miliardi. In questo caso però, i numeri non si contano, ma si pesano. Il made in Italy è vitale per Israele in fatto di automotive, food, cosmesi e ovviamente design. Così come i servizi digitali israeliani e il trasferimento delle conoscenze, in tool e capitale umano, sono determinanti per la nostra industria. Enel, Leonardo, Adler e Luxottica sono solo alcuni dei nostri brand che hanno investito in un ecosistema dove il pionierismo è la colonna vertebrale della cultura israeliana.
Gli “unicorni” di Israele
Un’economia, la nostra, vittima di cervelli in fuga e inverno demografico, è quanto avida di nuove idee. Da sviluppare, su cui investire e poi fare proprie. Si parla di Israele come di una “startup country”. «Preferiamo definirci una scale up nation». Sottolineano all’Ufficio commerciale dell’Ambasciata. E con buone ragioni, visto che nel 2024, Israele ha contato un totale di 35 unicorni, di cui 7 nati nel corso dell’anno – in una condizione di guerra – e diventando così il leader globale per densità di unicorni, 3,5 ogni milione di abitanti.
L’evento cancellato
Ecco, cosa succederebbe se domani si decidesse di interrompere questo rapporto perché qui “gli israeliani sionisti non sono benvenuti”? Per quanto si minimizzi il rumore a basso volume, il timore non è di un evento on-off. «C’è un’opposizione minoritaria nei nostri confronti che si sta facendo sempre più sentire. E che cambia le condizioni di fare business». I casi isolati non si moltiplicano, ma creano un ambiente unconfident (incerto). Giusto ieri, a Fiorano (Modena), avrebbe dovuto tenersi lo “Zero Trust & cybersecurity summit 2025”, evento promosso da Tekapp, azienda italo-israeliana fornitrice di servizi di cybersecurity. Ma una rete di pro-Pal, sindacati e associazioni del territorio sono riuscite a cancellarlo. Con l’accusa che Tekapp sarebbe una società legata alle forze armate israeliane, è stato censurata un’iniziativa imprenditoriale su un territorio come quello modenese, dove il matrimonio tra manifatturiero ed R&D è da sempre felice.
Nonostante queste vicende, gli osservatori preferiscono non esporsi in previsioni. «Siamo amici e così resteremo». La guerra si fa sentire, ovvio. Quei 4,25 miliardi di euro della bilancia commerciale, nel 2023, sono quasi il 5% in meno rispetto ai 4,46 miliardi raggiunti l’anno prima. Dal 7 ottobre 2023, l’economia israeliana ha iniziato a decrescere. Tuttavia, proprio perché terra di unicorni, il Paese preferisce ridimensionare questi episodi di boicottaggio. Come ha scritto Times of Israel, la scorsa settimana, in occasione del 77esimo anniversario della fondazione dello Stato di Israele, la tecnologia è resiliente. Anche al conflitto.