L'attacco militare a sorpresa

Noi, giornalisti e attivisti Lgbt, in Israele per il Pride (saltato): qui non si fa marketing, si salvano vite

di HaKol - 14 Giugno 2025 alle 12:50

La minaccia iraniana è tornata. Questa mattina, mentre eravamo già in Israele, a Tel Aviv, come delegazione europea di giornalisti e attivisti LGBT, è arrivata la notizia dell’attacco militare a sorpresa contro siti strategici iraniani. [1]

Siamo arrivati il 9 giugno come delegazione europea per incontrare le realtà che ogni giorno si battono per i diritti LGBT. Nonostante l’annuncio dell’attacco contro l’Iran, siamo al sicuro: il Ministero degli Esteri israeliano – che ringraziamo – ci fornisce assistenza completa, dai farmaci per chi ne ha bisogno all’ospitalità in albergo, pasti e aggiornamenti costanti. Siamo sereni, in contatto continuo con le autorità, e pronti a ripartire quando sarà ritenuto opportuno. Prima di tutto, la sicurezza.

In questo clima, il Tel Aviv Pride 2025 previsto per ieri, 13 giugno, è stato ovviamente cancellato per ragioni di sicurezza. Nei giorni scorsi abbiamo però visitato tre centri essenziali per l’inclusione: l’Open House LGBT di Gerusalemme, in una città segnata da fede e contrasti; il centro LGBT di Be’er Sheva, nel Negev; e quello di Tel Aviv, cuore pulsante dell’attivismo israeliano. Israele resta l’unico Paese del Medio Oriente in cui le persone LGBT possono vivere apertamente e godere di diritti e spazi pubblici. Anche sotto pressione, questa democrazia dimostra ogni giorno la sua forza nel garantire libertà fondamentali.

Il viaggio ci ha portati anche in territori segnati dalla tragedia: al sito del massacro del 7 ottobre, il festival Supernova vicino al kibbutz Re’im, quando militanti di Hamas hanno colpito una folla di giovani che ballavano, uccidendo 364 persone e prendendo decine di ostaggi. È proprio li abbiamo incontrato e ascoltato la giovane Chen Malka, scampata al massacro, che ci ha affidato un racconto toccante, difficile da dimenticare.

Nessuna giustificazione può tener conto della brutalità commessa: Hamas non è un movimento politico, è un’organizzazione terroristica, e Israele ha il dovere di difendere i propri cittadini. Nel silenzio di una Tel Aviv senza Pride, l’orgoglio non si spegne: si esprime ogni giorno nella dignità, nella solidarietà, nella presenza attiva di chi rifiuta la paura. Per questo è importante denunciare il pregiudizio all’interno del movimento LGBT internazionale [2]. Nel 2022 l’ILGA World ha sospeso l’associazione israeliana Aguda, non per violazioni di diritti, ma solo perché rappresenta una democrazia che combatte per esistere: un atto ideologico che tradisce lo spirito dell’inclusione.

Accusare Israele di “pinkwashing” è del resto una mistificazione. Qui non si fa marketing: si salvano vite. I centri d’ascolto, i rifugi per giovani LGBT e i volontari che li animano esistono davvero. In nessun Paese arabo esiste nulla di simile. A Gaza, essere omosessuali significa essere torturati, perseguitati, impiccati. Chi accusa Israele ignorando i crimini di Hamas e accetta l’antisemitismo mascherato da antisionismo diventa complice di un odio strutturale. Difendere Israele significa difendere la libertà—anche la nostra.

[1] https://www.ilriformista.it/il-campo-largo-degli-ayatollah-bacia-la-pantofola-a-khamenei-i-diritti-delle-donne-in-soffitta-470858/
[2] https://www.ilriformista.it/israele-e-la-culla-degli-lgbt-in-fuga-da-hamas-ma-al-pride-si-sfila-al-grido-di-free-palestine-469572/

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