Oggi la trappola è la stessa

Feroce con Israele, ambigua sugli ayatollah, il riflesso anti-occidentale della sinistra: tacere sul regime iraniano e fingersi neutrale

di HaKol - 18 Giugno 2025 alle 18:22

Escalation è una parola abusata, spesso usata per giustificare l’inazione o per celare simpatia verso chi è in difficoltà. È il rifugio di chi rifiuta ogni responsabilità. Ma la pace non si ottiene con i sospiri: va costruita con coerenza, realismo e coraggio. Serve lucidità nel riconoscere i pericoli e nel chiamarli per nome. La crisi tra Israele e Iran non è scoppiata all’improvviso. Era prevedibile. Per anni Teheran ha destabilizzato la regione, svuotando Stati come Yemen e Libano e armando milizie come gli Houthi ed Hezbollah. Ha finanziato Hamas per colpire Israele ma anche per indebolire l’Autorità nazionale palestinese. Il disegno era chiaro: accerchiare l’unica democrazia pluralista del Medio Oriente con un fronte armato e permanente.

Eppure, molti hanno preferito non vedere. Dopo il massacro del 7 ottobre 2023, in cui furono uccisi oltre mille civili israeliani, l’indignazione pubblica si è spesso concentrata sul governo Netanyahu più che sui responsabili dell’attacco. Le piazze europee si sono mosse, ma non per le donne impiccate in Iran, né per gli studenti arrestati o le minoranze represse. Due pesi, due misure. Questa ambiguità ha radici profonde. Nel 1979 una parte della sinistra europea accolse la Rivoluzione islamica come segno di “liberazione”, ignorando la nascita di un regime teocratico e oppressivo.

Oggi lo stesso errore si ripropone: il linguaggio dei diritti viene piegato per giustificare alleanze con regimi autoritari. In queste ore il popolo iraniano è unito contro il regime islamista e vuole liberarsi e può liberarsi dall’oppressione più oscura del mondo. Si è con loro o contro di loro? Finora gli ayatollah hanno goduto del silenzio europeo, mentre ordivano i colpi da assestare a Israele. Così anche gli organismi internazionali si sono adattati all’ambiguità. Ad esempio la risoluzione Onu 1701, che doveva impedire l’armamento di Hezbollah, è rimasta inapplicata. I contingenti Unifil hanno assistito inerti all’installazione di rampe missilistiche. L’Unrwa, presente a Gaza con migliaia di dipendenti, ha ignorato la militarizzazione di scuole e ospedali. In alcuni casi, secondo inchieste indipendenti, membri del suo personale sarebbero stati coinvolti negli attacchi del 7 ottobre.

Il diritto internazionale è oggi svuotato da veti incrociati e silenzi interessati. Finché l’Onu sarà paralizzata da logiche di potere, il fronte democratico arretrerà. Serve un cambio di passo. Non solo sul piano geopolitico, ma culturale. L’Europa deve difendere i propri valori senza ambiguità. Servono chiarezza, informazione onesta e fermezza morale. Perché una pace senza verità e giustizia è solo una tregua. E le tregue, senza visione, non durano. Sinistra e destra devono liberarsi dai loro riflessi ideologici. La prima, dal riflesso antioccidentale che la lega a populismi avventuristi e che si ricongiungono con il populismo di destra. I riformisti, infine, devono smettere di cercare il compromesso tra verità e convenienza. Perché la neutralità, di fronte all’aggressione, è già una scelta. E non è mai quella giusta.

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