La "novità"
Gaza Cola, la balla sulla bibita 100% palestinese prodotta nel Paese di Auschwitz
di Iuri Maria Prado - 26 Giugno 2025 alle 07:00
L’operazione di repulisti per la trasformazione del supermarket democratico marchiato Coop in spaccio alimentare judenfrei si arricchisce di un’iniziativa supplementare: la sostituzione dei prodotti in puzza di contaminazione israelita con la bibita from the river to the sea, vale a dire la “Gaza Cola”.
L’Alleanza della Coop
Non bastava, cioè, il boicottaggio delle aziende colpevoli di appartenere al milieu genocidiario dello Stato neonazista, l’entità malefica che i collaboratori del Corriere della Sera, in coro con gli sfasciavetrine di Potere al Popolo, denunciano quale continuatrice delle pratiche sterminazioniste della Germania hitleriana. Per soprammercato (mai termine sarebbe più congruo), l’Alleanza delle Coop ha deciso infatti di non limitarsi a quell’opera di sanificazione dei propri scaffali e si è risolta a imbottirli di quella “Gaza Cola”, naturalmente con l’avvertenza che si tratta di roba “100% palestinese”. Il dettaglio che non sia palestinese neppure per sogno, perché è prodotta nel Paese di Auschwitz su supervisione proprietaria britannica, non impensierisce gli addetti alla comunicazione della catena commerciale che, per difendere la causa palestinese, si dà a questo uno-due di spurgo anti-sionista e pedissequo rincalzo pro-Pal. Né ovviamente c’è qualsiasi inaccettabile interesse mercantil-capitalistico a sorreggere l’iniziativa, anzi: spiega infatti la Grande Distribuzione Organizzata engagé che i proventi dell’operazione saranno adoperati per contribuire “alla ricostruzione di un ospedale nella Striscia”.
Un Paese purificato?
Non è chiaro quale ospedale, se quello in cui dimorava Mohammed Sinwar, quello in cui Hamas teneva sequestrati gli ostaggi ebrei o questo o quell’altro in cui gli autori dei massacri del 7 ottobre trovavano confortevole rifugio, nonché energia elettrica per i cellulari con cui comunicavano a mammà e a papà il numero di ebrei fatti a pezzi. Ma sono dettagli speciosi da tirare in campo quando c’è di mezzo la nobile iniziativa rivolta e tenere puliti i supermercati e a rimetterne in sesto le finalità umanitarie con il marchio che vende bene. Vale a dire la Cola della resistenza posta a dimostrare che dal genocidio può nascere – per quanto tramite procura polacco-londinese – un commercio che rompe le reni alle ambizioni di insinuazione mercantile di stampo israeliano.
Che poi tutto questo succeda nel Paese che ha scritto le leggi razziali, e che sta facendo cose identiche al 1938 con la sola sostituzione legittimante del sionista e dell’israeliano al posto dell’ebreo, è faccenda di cui forse si scriverà tra ottant’anni. Lo stesso tempo che, dal giuramento di fedeltà al regime da parte dei professori universitari, intercorre per arrivare alle deliberazioni dei senati accademici che nel 2025 compilano le liste degli studiosi e dei ricercatori ebrei da tenere lontani.
Dalle corsie dei supermercati ai chiostri universitari, un Paese finalmente purificato.