Le ragioni di Israele

La Casa Bianca accusa Netanyahu: “Bombarda tutto come un pazzo”. Ma l’Idf fa deterrenza nella regione

di HaKol - 22 Luglio 2025 alle 17:37

«Bibi ha agito come un pazzo… Continua a bombardare tutto ciò che si muove. Questo potrebbe sabotare quanto Trump sta cercando di fare, in Siria in particolare e nella regione in generale». A parlare con tono becero, cui ormai ci ha abituato la nuova amministrazione Usa, è un alto funzionario della Casa Bianca, disorientato per quanto sta accadendo in Medio Oriente. Nel commentare le recenti guerre che Israele ha ingaggiato nella regione, il politico di Washington finge di dimenticare il ruolo attivo che l’America trumpiana svolge insieme a Gerusalemme nel gestire tanto le prove di forza contro l’Iran quanto i raid in Siria. Così come è americano il coordinamento della Gaza Humanitarian Foundation, l’unico ente autorizzato alla distribuzione degli aiuti all’interno della Striscia.

Evidentemente, quel funzionario non afferra le ragioni profonde dell’iperattivismo di «Bibi» Netanyahu e del suo governo di falchi circa le operazioni militari. Eppure, quelle ragioni sono piuttosto semplici, per quanto crudeli: è la cosiddetta «strategia della deterrenza», principio vitale per Gerusalemme, che gli impone di attaccare prima di subire per garantirsi la sopravvivenza, circondato com’è da potenze ostili. È in forza di quel principio (per quanto arbitrario e auto-determinato) che i comandi israeliani non si sentono in alcun modo obbligati a calibrare l’uso della forza bruta a seconda dell’obiettivo, militare o civile: Hamas, Hezbollah, Houthi, Pasdaran, jihadisti, così come fiancheggiatori e oppositori passivi di Israele, sono tutti bersagli legittimi, almeno secondo il gabinetto di guerra del premier. Prova ne sia il raid dell’Idf contro la parrocchia cattolica della Sacra Famiglia a Gaza, che ha provocato la reazione indignata di Papa Leone XIV. «La barbarie della guerra si fermi subito», ha intimato durante l’Angelus domenicale. No, caro Pontefice, quell’esortazione non avrà effetto. Almeno, non prima che la Striscia sia stata trasformata in una moderna Cartagine.

Già, perché l’operazione militare israeliana non mira soltanto a neutralizzare i terroristi o a liberare gli ostaggi, ma – come ha già intuito la comunità diplomatica italiana – essa intende «disarticolare definitivamente Gaza in quanto entità politica, civile, infrastrutturale e demografica autonoma». E, per farlo, Gerusalemme è convinta di poter trascurare tanto l’etica della guerra (se ne esiste una) quanto il perimetro d’azione del diritto internazionale (idem). Anzi, è proprio seguendo questa convinzione che l’Idf a Gaza ricalca consapevolmente l’antichissimo stratagemma dell’assedio. È stato il teologo Egidio Romano, di regola agostiniana come Leone XIV, a spiegare quel principio in età medievale. Nella sua opera De regimine principum (1280) ha elencato i tre modi per cingere d’assedio un bastione nemico, in ordine d’importanza: sete, fame, battaglia.

Riavvolgendo ancora il nastro, è nel 332 a.C., durante le guerre persiane, che Gaza è cinta d’assedio per la prima volta dai Macedoni. L’assedio, condotto da Alessandro Magno in persona, dura oltre tre mesi e la città viene presa per fame. E, dato che la resistenza è stata tanto ostinata, Alessandro ordina il massacro dell’intera popolazione maschile e la riduzione in schiavitù di donne e bambini, mentre Gaza è depredata e infine distrutta. Fatte le dovute distinzioni con il passato, l’approccio di Gerusalemme nella conquista delle città di Palestina è il medesimo. Assediare, conquistare, ricominciare. E sì, nel frattempo bombarda anche l’Iran, il Libano e la Siria, seguendo la medesima logica della deterrenza di cui sopra, che è e resta stella polare per Israele. Una scienza militare che ridefinisce obiettivi politici e modalità di esecuzione, a seconda del nemico di turno.

Tutto ciò, è bene sottolinearlo, accadrebbe anche senza Benjamin Netanyahu. Perché non è mai un solo uomo a fare la guerra, come a Washington sanno bene. Quella di «Bibi» non è dunque pazzia, ma un lucido progetto di predominio regionale, condiviso con quanti – e non sono in pochi, dall’America alla penisola araba – premono per alterare gli equilibri di forza in Medio Oriente.

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