L'analisi

L’economia di Israele più forte della guerra: il settore high tech rappresenta oltre il 20% del Pil, disoccupazione ai minimi storici

di HaKol - 23 Luglio 2025 alle 13:49

Nella visita alla Casa Bianca, Benjamin Netanyahu ha cercato in ogni modo di addolcire Trump, anche con la famosa candidatura al Nobel per la Pace, di cui il presidente sembrava “particolarmente sorpreso”. Eppure, neanche Bibi, attualmente forse il miglior amico di Donald, è riuscito a convincerlo a fare retromarcia sulle famose tariffe doganali che stanno colpendo l’economia globale. Anche Israele, infatti, deve fare i conti con la politica folle e scellerata dei dazi, addirittura del 17%, che mina pure lo storico accordo di libero scambio con gli Usa.
Come l’economia d’Israele sostiene la guerra
Mentre l’attenzione globale si concentra sulla geopolitica e sulla ricostruzione eventuale di Gaza, pochi notano l’impatto sull’economia israeliana. Se per noi un aumento del 5% del Pil in spesa militare sembra una follia, Israele nel 2024 ha destinato alla Difesa oltre 46 miliardi di dollari, (il 16,7% in più), di cui si stima 12 miliardi soltanto per i danni del conflitto con l’Iran. Ma la domanda sorge spontanea: come può uno Stato così piccolo sostenere questi costi? Ce lo siamo domandati tutti almeno una volta.

Partiamo analizzando il Prodotto interno lordo di Israele. Il Fondo monetario internazionale ci dice che nel 2024 ha raggiunto circa 564 miliardi di dollari, con Pil pro capite di 58mila dollari (per farvi un’idea, in Italia è sotto i 40mila, nonostante una popolazione sei volte più grande). Dopo il Covid – che, come per tutti i Paesi, aveva rappresentato un freno alla produzione – l’economia israeliana stava vivendo una forte crescita prima dello scoppio della guerra, passando da un 3% nel 2022 allo 0,9% del 2024. Tuttavia le previsioni del 2025 sembrano essere molto più positive, benché sia stato forse l’anno peggiore a livello di danni economici.
Dal settore high tech oltre 20% Pil
In questo contesto, il settore che sicuramente beneficia di questa impennata della spesa militare è proprio quello della Difesa. La famosa compagnia Rafael (attualmente non quotata in Borsa), nota per i suoi avanzatissimi sistemi antimissilistici Iron Dome, è cresciuta del 27%. Allo stesso modo la Elbit Systems ha raggiunto quasi 19 miliardi di capitalizzazione. Ma la vera locomotiva dell’economia israeliana, come sappiamo, rimane il settore dell’innovazione. Con il più grande numero di startup al mondo, il settore high tech da solo rappresenta oltre il 20% del Pil. Israele investe circa il 5,4% del Pil in ricerca e sviluppo, attirando miliardi di venture capital, soprattutto dagli Stati Uniti. Tutti questi settori, e non solo, hanno trainato un’economia in guerra e portato i valori borsistici della Tel Aviv Stock Exchange a numeri record. Persino la compagnia di bandiera, EI Al Israel Airlines, unica compagnia aerea ancora operativa, ha guadagnato il 175% in capitalizzazione tra il 2024 e il 2025.
Israele e la democrazia che continua a prosperare
Se l’economia del lavoro è ciò che rende l’economia israeliana inattaccabile, con una disoccupazione ai minimi storici, in particolare quella femminile, purtroppo il discorso è diverso per l’inflazione. Questo valore, estremamente dannoso perché erode il potere d’acquisto dei cittadini, aveva già raggiunto un picco del 5% nel 2023, con un aumento del costo dei beni legati al conflitto, di pari passo con un deficit anch’esso in aumento. La Banca centrale, infatti, già prima del 7 ottobre si era posta come obiettivo quello di rafforzare la sua moneta alzando i tassi di interesse. Una situazione simile di ciò che è successo anche in Europa subito dopo il Covid.

I dati economici, da soli, possono sembrare aridi. Ma non passa inosservata la forza di un Paese che, nonostante sia continuamente sotto attacco, con il 60% del territorio desertico e privo di particolari risorse naturali sfruttabili, rimane la tredicesima economia al mondo. Mentre Tel Aviv innovava e cresceva, il governo di Hamas in vent’anni ha trasformato Gaza in un inferno, destinando risorse a tunnel e armi anziché investire in sviluppo e migliorare la vita dei propri cittadini. Tornano alla mente le parole di Marco Pannella: «Gli Stati confinanti guardano Israele come una specie di melanoma, ma ciò che realmente temono è la sua democrazia». Una democrazia che, nonostante tutto, continua a prosperare.

Il grande archivio di Israele

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