"Mi ribello all’odio antiebraico"
Giliberti, dalla sezione del Pci alla lotta sui social contro le bufale su Israele: “Tradito dalla sinistra che giustifica gli antisemiti”
di HaKol - 26 Luglio 2025 alle 19:12
Da ragazzo aveva le mani sporche di terra e la testa piena di domande. Ora è amministratore della LDG Service, società di consulenza aziendale presente sul mercato da 10 anni, e ogni giorno sui social si immola contro la disinformazione anti-Israele. Luigi Giliberti viene da una famiglia contadina, dove il lavoro non si spiega: si fa. Ha respirato l’aria delle periferie, dove ogni quartiere aveva la sua sezione del Pci, dove la politica era pane, fatica e lotta. Ha studiato con fame. Si è diplomato, laureato, ma non ha mai smesso di «imparare facendo». Ha iniziato presto a lavorare, senza schivare nulla: mestieri bistrattati, notti in bianco, mani che imparano. Ha sempre avuto sete di sapere. E ancora oggi ha più domande che risposte. Ma ha un’incrollabile certezza: stare dalla parte dello Stato ebraico.
Luigi, dopo una vita passata a osservare, perché hai sentito il dovere di rompere il silenzio?
«Perché ho impressa nella mente la genesi del genocidio degli ebrei: è iniziato così, con parole velenose, con narrazioni costruite per odiare. E oggi vedo lo stesso schema: la stessa complicità mediatica, lo stesso livore travestito da giustizia. Così ho deciso: basta restare zitti. Ho iniziato a raccontare, a smontare le menzogne con i fatti, a denunciare le storture che troppi fingono di non vedere».
E oggi combatti anche con le parole. La tua battaglia su X è nata in maniera spontanea?
«Sì, non potevo tacere. C’è un antisemitismo che rialza la testa. Palese, volgare, sdoganato. Lo vedo crescere ovunque: nei social, nelle piazze, nelle università. Mascherato da militanza, travestito da lotta per i diritti, ma in fondo sempre lo stesso: odio antico, ripetuto con slogan nuovi».
I fantasmi della storia si ripresentano. Il clima è pessimo, stiamo sprofondando di nuovo nella disumanità…
«Stiamo tornando indietro. Verso gli anni più bui dell’umanità, quando le parole venivano usate per separare, disumanizzare, distruggere. Allora come oggi si iniziò così: con una narrazione tossica. Con il silenzio dei giusti. Con l’indifferenza di chi “preferisce non schierarsi”. Io ho scelto. Ma c’è qualcosa che fa ancora più male».
Ovvero?
«Chi una volta stava a sinistra, chi si batteva per gli ultimi, per le minoranze, contro i soprusi, oggi dov’è? Oggi molti di quei “compagni” tacciono. O peggio: giustificano, negano, si accodano. Restano in silenzio davanti all’odio antiebraico».
Per uno come te, che è partito dalla sinistra e che ha creduto profondamente in quelle idee, è doloroso ritrovarsi senza riferimenti…
«È inaccettabile. Ma è anche un punto di rottura necessario. Oggi non basta più “essere stati” qualcosa. Servono coerenza, lucidità, coraggio. E se la verità non trova più casa nei partiti, nelle redazioni, nei salotti, allora la costruiamo altrove. Con parole libere. Con coscienza integra. Con la memoria viva. Perché quello che sta accadendo oggi, davanti ai nostri occhi, è inaccettabile. Mentre una folla si alza per gridare contro “l’ebreo” – in piazza, nei campus, sui social – dall’altra parte del mondo c’è un medico che rientra a casa e si toglie la kippah per non rischiare. C’è un bambino che va a scuola scortato. C’è un anziano che ha paura di entrare in sinagoga. E chi non vuol vedere o minimizza questa realtà sta contribuendo, consapevolmente o meno, a ricreare quel clima. Quel veleno. Quella disumanizzazione che in passato ha già aperto le porte all’abisso».