La legittima difesa negata

L’ebreo che muore, commuove, quello che combatte, infastidisce: Israele oggi dice no all’annientamento

di Luigi Giliberti - 5 Agosto 2025 alle 10:12

Gerusalemme, ottobre. Un sopravvissuto dell’Olocausto guarda la città vecchia da una collina. Sul braccio, i numeri incisi in un campo di concentramento. Nello sguardo, la consapevolezza che ciò che sembrava impossibile – uno Stato ebraico che esiste e resiste – è diventato realtà. Per lui, “Mai più” non è uno slogan da commemorazione. È un punto fermo. E oggi, mentre Israele è accusato ogni giorno di essere l’aggressore, il carnefice, il male, quella frase torna a farsi essenziale: stavolta non moriremo in silenzio.
Una lunga scia di sangue
La persecuzione degli ebrei attraversa la storia dell’Europa e del mondo. Dall’antichità romana, passando per il Medioevo cristiano, fino all’epoca moderna e contemporanea, gli ebrei sono stati cacciati, accusati, bruciati, sterminati. È un dato documentato, non un’opinione. Espulsioni: Inghilterra (1290), Francia (1306), Spagna (1492). Accuse assurde: deicidio, avvelenamento di pozzi, riti satanici. Massacri: pogrom in Russia e Polonia, Crociate, Inquisizione. Shoah: 6 milioni di ebrei sterminati in Europa tra il 1941 e il 1945. Nel complesso, tra i 7 e i 9 milioni di ebrei sono stati uccisi per la sola colpa di essere ebrei. Un genocidio distribuito nei secoli, alimentato da religione, ideologia, razzismo, ignoranza.
Il nuovo volto dell’odio
Oggi l’ebreo non è più senza patria. Ha uno Stato, Israele. E questo ha spostato l’odio su un nuovo terreno. Non si parla più apertamente di “odio per gli ebrei”. Si usa un linguaggio diverso: “antisionismo”, “anticolonialismo”, “giustizia per la Palestina”. Ma il bersaglio è sempre lo stesso. Ogni gesto di autodifesa israeliana è giudicato “eccessivo”. Ogni vittoria, “oppressiva”. Ogni tentativo di sopravvivere, “illegittimo”. L’ebreo è tollerato solo se resta vittima. Se combatte, diventa fastidioso. Se vince, diventa il nemico.
Le accuse di genocidio
Israele oggi viene accusato – senza prove accertate – di compiere un genocidio. Una parola usata con disinvoltura, che ha perso peso e significato. La Corte Internazionale di Giustizia non ha mai dichiarato che Israele stia compiendo un genocidio. Ha chiesto misure preventive. Ha riconosciuto un contesto grave. Ma non ha condannato. E chi accusa Israele ignora sistematicamente che Hamas, dal 1988, chiede apertamente la distruzione dello Stato ebraico. Nel suo statuto non ci sono ambiguità. C’è l’eliminazione totale del nemico.
La legittima difesa negata
Ciò che Israele esercita, nel diritto internazionale, si chiama legittima difesa. Uno Stato attaccato ha il diritto – e il dovere – di proteggere i propri cittadini. Ma nel caso di Israele, questo principio viene contestato costantemente. È l’unico Paese al mondo a cui si chiede di subire in silenzio. Di non reagire. Di non colpire chi lo minaccia. Di non vincere. In pratica: di tornare vulnerabile. Una linea che non si attraversa più
Per questo Israele oggi dice no. No all’annientamento.
No all’indifferenza. No alla colpevolizzazione del diritto a esistere. Non è arroganza. È esperienza. Ogni generazione ebraica ha imparato che la difesa è l’unica garanzia di sopravvivenza. E chi oggi chiede agli ebrei di fermarsi, di piegarsi, di aspettare, sta solo ripetendo – in tono educato – le parole di chi, ieri, li voleva cancellare.
Epilogo
Mai più non è una frase vuota. Non è diplomazia. È un confine. È il punto in cui la Storia ha deciso di non tornare indietro. Chi non lo capisce, non ha capito nulla. Chi lo ignora, è parte del problema. E chi lo sfida, oggi, dovrà fare i conti con qualcosa che in passato mancava: la forza per dire basta.

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