Una rispettosa annotazione alle parole del cardinale
Pizzaballa e “Israele non è giustificabile”: né fame, né ferite o morti devono costituire la base del nostro giudizio su Gaza
di HaKol - 5 Agosto 2025 alle 19:19
Il cardinale Pizzaballa, con l’autorità che gli compete e secondo quel dettame della coscienza che ha così grande autorità su ognuno di noi, ha detto che “Israele non è giustificabile” nella attuale fase delle operazioni militari a Gaza. Nell’intervista del 21 luglio scorso vi erano anche cose equilibrate ed eque. Ma come avviene ogni giorno e in mille opinionisti, a partire dalla risposta israeliana alla razzia (o pogrom) del 7 ottobre 2023, nelle parole del Cardinale non vi è cenno alla struttura del conflitto in corso nella Striscia e non solo.
In questi ultimi giorni Sua Eminenza ha osservato che fame e morte a Gaza “non sono teoria”. Ma è certo teoria, o semplicemente un costrutto ideologico, quella che mette in capo a Israele ogni responsabilità e l’accusa non nuova di genocidio. Non posso non ricordare anche il suggestivo “Cristo è sepolto a Gaza”, un’espressione che non ha senso al di là della sua facilità: non solo Cristo propriamente non è sepolto da nessuna parte, ma -salvando la metafora in termini meno parziali e più cristici- Cristo è allora con tutti i morti, non combattenti e combattenti di tutte le guerre del pianeta. Quel “con” è equivoco (“con” ontologicamente, politicamente?), secondo una inconsapevole e poco profonda visione ‘partigiana’ del Redentore.
È vero che le sofferenze della popolazione ci colpiscono per la loro ‘ingiustizia’, ma né fame, né ferite o morti, né distruzioni sono l’unico evento che debba costituire la base del nostro giudizio, di fatto rivolto a sanzionare il solo Israele. E non per la prima volta ma per una inveterata parzialità. Un conflitto non è senza solide cause, e per definizione ha più protagonisti; in un conflitto cosa è o non è ‘giustificabile’? Si capisca che è in corso una guerra, tra fronti combattenti nei termini noti (ma di cui sembra non si ricordi la natura quando fa comodo) della guerra asimmetrica in contesto urbano. Una guerra, dunque, non una punizione-rappresaglia di una parte. In questo quadro è solo il diritto di guerra operante.
Quanti esaminano i dati con volontà di giustizia? E, poi, quali dati? Non è possibile fidarsi né di un numero, né di un’immagine o di un racconto che ci venga ordinariamente, da e su Gaza. Solo i molti morti sono veri, quando lo sono. Il Cardinale li ha visti quelli della parrocchia cattolica, può testimoniarlo, e certamente quella piccola comunità è leale. Ma ogni immagine della Striscia che una TV o un cellulare possano riprendere avviene sotto l’autorizzazione del Hamas o di altri padroncini, cui non restano armi efficaci se non contare sulla nostra, di occidentali, permeabilità e impressionabilità e sperimentato antiebraismo. I giornalisti onesti sanno che a Gaza si poteva ottenere di filmare, pagando, qualsiasi sceneggiata. Per di più nessuna ripresa che ci viene mostrata giornalmente prova quello che lo speaker televisivo depreca in termini enfatici.
È da molto che mi permetto di segnalare una dimenticanza alla base dei giudizi ‘morali’, in realtà mai politico-razionali, sull’azione di Israele: la dimenticanza del dato strutturale che sul territorio di Gaza esiste da decenni un nemico, su cui grava, da decenni, la responsabilità della periodica trasformazione di una annosa guerra ibrida in guerra guerreggiata. Un nemico che prosegue questa guerra ora, con mezzi sperimentati, da manuale: dalla guerriglia al coinvolgimento sacrificale delle proprie popolazioni, alla propaganda rotta ad ogni falsificazione. Ho l’età e la riflessione sufficiente per dire con franchezza, anche ad uno stimabile prelato della Chiesa di cui mi sento figlio: dov’è questo nemico di Israele nelle troppo facili rappresentazioni-condanne che si producono ogni giorno sull’azione israeliana? Perché del nemico (una costellazione di nemici di Israele, di combattenti operanti nelle popolazioni della Striscia) non si fa esplicito cenno mai, nemmeno come ragionevole obiettivo e partner di una forte pressione politica e morale a ritirarsi dal conflitto, ad abbandonare il terreno? Hamas ‘fa il suo lavoro’ e non può essere disturbato? Non ha concreto profilo internazionale (una vera sciocchezza formalistica), quindi non esiste? O si ha paura? Solo da qualche giorno istanze autorevoli, Lega Araba inclusa, hanno avuto la franchezza di dirlo, e sia reso omaggio in particolare al premier ANP Muhammad Mustafa.
La diplomazia vaticana e l’opera delle gerarchie non possono esimersi da una razionalità che abbracci l’intero fenomeno. Oltre a tutto, la deplorazione sarà di prammatica, ma è inefficace nel merito. Il giudizio sulla “ingiustificabilità” dell’attuale azione bellica di Israele è all’altezza della intera realtà dei fatti? I morti cristiani non cambiano l’equazione. La responsabilità prima e quotidiana dei morti è anzitutto del cinico azzardo di Hamas. Nessun intervento che non mostri di tenere conto severamente di questo dato può essere considerato esente da quella partigianeria anti-sionista, da quella ‘falsificazione del bene’ rappresentata dalla pietà dei ‘buoni’, in realtà dal loro rancore verso l’Ebreo. Per evitare questa deriva, bisogna ottenere che gli attori primi di questa tragedia premeditata, il Hamas e i suoi alleati/concorrenti, abbandonino il territorio. In questa direzione si usino l’intelligenza della trattativa e le parole autorevoli; e sarà stato sempre troppo tardi. Svuotati i tunnel, deposte le armi, resa libera la popolazione (in un periodo di transizione militarmente garantito da una missione internazionale affidabile) dall’oppressione secolare delle élites nazionalistiche e ‘rivoluzionarie’, i palestinesi potranno cominciare a disegnarsi un futuro.