Le ragioni di Israele
Israele, è il momento del cambio di strategia: meno ONU e più privati per gli aiuti a Gaza
di HaKol - 7 Agosto 2025 alle 13:08
Nel silenzio ipocrita di gran parte della stampa, domestica e internazionale, Israele ha deciso di introdurre un cambiamento radicale nella gestione degli aiuti umanitari destinati alla Striscia di Gaza. Una scelta tanto pragmatica quanto politica, che si inserisce nella cornice più ampia della nuova dottrina di controllo totale del territorio, recentemente formulata dal governo Netanyahu, con l’obiettivo dichiarato di estirpare alla radice il potere militare, politico e psicologico di Hamas.
Il nuovo meccanismo, ideato dal COGAT (il Coordinamento delle Attività Governative nei Territori), prevede che l’ingresso di beni essenziali non sia più appannaggio esclusivo delle agenzie delle Nazioni Unite e delle ONG internazionali, ma venga affidato, in modo selettivo, controllato e quindi sicuro, a operatori del settore commerciale privato palestinese. Non si tratta solo di una misura logistica: è una mossa che ha il sapore di una dichiarazione strategica. Israele, infatti, non si limita a smantellare le infrastrutture militari di Hamas. Sta cercando di neutralizzarne anche le leve di potere sociale, economico e psicologico. Una delle più efficaci è proprio il controllo degli aiuti: chi decide chi mangia oggi, si assicura di comandare domani. Delegare questa funzione all’ONU, in particolare all’UNRWA, si è rivelato negli anni un boomerang: l’organizzazione si è dimostrata ampiamente infiltrata da Hamas, se non addirittura subordinata ad esso, sia nella gestione delle scuole che in quella delle risorse.
Le ONG, dal canto loro, troppo spesso si sono trasformate in cinghie di trasmissione ideologiche, pronte a condannare Israele a ogni occasione ma reticenti nel denunciare l’uso sistematico della popolazione civile da parte dei terroristi. Cieche, sorde, e mute (come le 3 famose scimmiette) di fronte a ciò che Hamas costruiva e organizzava letteralmente sotto il loro naso. La neutralità, che dovrebbe contraddistinguere queste organizzazioni, soprattutto quelle con la targhetta ONU, è sempre stata una chimera.
Ecco, dunque, la svolta: un numero limitato di commercianti locali palestinesi, rigorosamente selezionati sulla base di criteri di sicurezza e affidabilità, sarà autorizzato a importare beni di prima necessità — cibo, prodotti per l’infanzia, igiene, frutta e verdura fresche — che saranno acquistati esclusivamente tramite canali bancari tracciabili. I prodotti verranno ispezionati nei valichi sotto attento controllo israeliano e poi distribuiti direttamente, senza intermediari sospetti o triangolazioni opache. In questo modo, si punta a garantire una rete di approvvigionamento efficiente ma impermeabile agli abusi, sia quelli tipici dell’accaparramento illecito, sia quelli ben più pericolosi legati al contrabbando di materiali dual-use.
Non è un ritorno alla normalità, né un’apertura indiscriminata. È un modello che prova a coniugare sicurezza e responsabilità, controllo e continuità. Dimostra che Israele, pur nel mezzo di un’operazione militare estesa, non rinuncia a distinguere tra Hamas e la popolazione civile. Anzi, cerca di separare le due cose proprio dove Hamas ha cercato per anni di fonderle. Se la scommessa funzionerà, si aprirà la strada a una ripresa graduale delle attività economiche di base — non per arricchire nuovi signori della guerra, ma per restituire un minimo di autonomia e dignità a chi vive tra le macerie. Una dimostrazione concreta che, mentre si combatte per la sicurezza, si può anche costruire un’alternativa. E togliere ad Hamas non solo le armi, ma anche il monopolio del bisogno.