Israele nel mirino

Bari, battaglia di Leccese contro Israele e chiavi della città a Francesca Albanese. La Puglia diventa vetrina della censura

di HaKol - 20 Agosto 2025 alle 10:50

Bari, città aperta all’accoglienza, è unica nel suo genere. Da secoli rappresenta un ponte tra Oriente e Occidente: i pellegrinaggi religiosi dai Paesi dell’Est Europa, compresa la Russia, verso la Basilica di San Nicola sono la cifra della sua identità. Proprio per questa vocazione universale, sorprende la scelta del sindaco Vito Leccese di ingaggiare una battaglia tutta politica contro Israele, schierandosi apertamente a favore della causa pro-palestinese.
Bari, battaglia di Leccese contro Israele
È vero: la guerra in Medio Oriente ha prodotto un numero altissimo di vittime, in un conflitto scatenato dal pogrom selvaggio del 7 ottobre di Hamas contro civili israeliani inermi, massacrati nei kibbutz e durante un raduno di giovani. Persone barbaramente uccise, ostaggi rapiti e seviziati, molti dei quali ancora in mano ai terroristi. Un dramma che Hamas avrebbe potuto interrompere liberando i prigionieri. Ma Hamas non è un esercito con un codice etico: è un’organizzazione terroristica, finanziata da Teheran e dal Qatar, la cui unica regola è la violenza per la violenza, e la cui ragione di vita è cancellare dalla faccia della terra lo Stato di Israele.
Nessuna condanna ad Hamas
Eppure, da Leccese non è arrivata una sola parola di condanna nei confronti di Hamas. Anzi. In occasione di un evento al Teatro Piccinni, il sindaco ha consegnato le chiavi della città a Francesca Albanese, relatrice speciale dell’Onu, nota per la sua tesi sul “genocidio del popolo palestinese”. “Un gesto simbolico – ha spiegato Leccese – per affermare che Bari è al fianco di Francesca Albanese”. Nel suo intervento, Albanese ha auspicato che “il Made in Israel non sia più accettato”, e subito il sindaco si è allineato, invitando la Fiera del Levante a escludere Israele dalla manifestazione.

Nemmeno ai tempi della Guerra Fredda si arrivò al punto di escludere un Paese della “cortina di ferro”. Ma quale potere istituzionale ha il sindaco per impedire la partecipazione di Israele alla Fiera del Levante, inaugurata ogni anno dal presidente del Consiglio o da un rappresentante del governo? Chiarire è doveroso: la questione non può essere ridotta alla logica destra-sinistra. Leccese non può rivendicare di essere “di sinistra e antifascista” solo perché difende il popolo palestinese contro chi difende il popolo ebraico. La memoria storica insegna che su certi temi non bastano bandiere ideologiche.
E l’Ucraina?
Viene spontanea la domanda: perché il sindaco di Bari ha speso tanto impegno contro Israele, mentre non ha pronunciato una parola sull’aggressione della Russia all’Ucraina? Perché non ha invitato Zelensky a ricevere le chiavi della città, come gesto simbolico di vicinanza? Eppure, le ragioni non mancano: una su tutte, i 20mila bambini ucraini deportati in Russia. Lungi dal pensare che Leccese sia animato da antisemitismo, resta il fatto che i suoi atti finiscono per alimentarlo inconsapevolmente, in un Paese come l’Italia che conosce bene i rischi di questo fiume carsico. Non dimentichiamo l’autunno del 1938: una ferita che ancora pesa come una lettera scarlatta sulla coscienza nazionale.

E non è solo Leccese. Ci sono sindaci, presidenti di Regione e un intero milieu di intellettuali e giornalisti che oggi si schierano contro il popolo ebraico d’Israele con una leggerezza che lascia sgomenti. È qui che si misura la vera responsabilità politica e culturale: saper distinguere tra la critica legittima a un governo e la delegittimazione di un popolo. Confondere i piani non è un gesto “simbolico”, ma un cedimento che rischia di riaprire porte che la storia aveva chiuso nel sangue.

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