Ha Stato Israele
Dilaga l’antisemitismo, ma per le toghe è tutto lecito
di Iuri Maria Prado - 29 Agosto 2025 alle 11:20
Un magistrato, in Sardegna, che prende in esame il caso dei manifesti contro i turisti israeliani (“I criminali di guerra non sono benvenuti”) e archivia tutto spiegando che si trattava “della semplice esposizione di un cartello che faceva riferimento, in termini critici, alla situazione in Medio Oriente”.
Un altro, al vertice del Tribunale amministrativo regionale di Lecce, che dal suo profilo Facebook reclama un intervento armato in Israele, dopo aver molestato una senatrice della Repubblica colpevole, a suo giudizio, di non dirla come si deve a proposito del “genocidio”. Un’altra – questa volta è una magistrata del Tribunale di Roma – che ingiunge al servizio pubblico radiotelevisivo di mandare in prima serata un comunicato in cui si spiega che Gerusalemme non è la Capitale di Israele. Un altro ancora, e siamo a Milano, il quale spiega che è legittimo accusare un giornalista ebreo di “coprire il genocidio”, dandogli di “nazista e razzista”, perché la Corte Internazionale di Giustizia (falso grossolano) avrebbe ritenuto “plausibile” il genocidio e perché dopotutto quegli insulti costituiscono legittima espressione del diritto di critica. Un altro ancora – e siamo nuovamente a Milano – il quale spiega che accusare un giornalista ebreo di far parte di un circuito sionista che tiene bordone ai criminali israeliani è legittimo, perché dopotutto esiste un dibattito sul controllo dei mezzi di informazione da parte degli ebrei. E via di questo passo.
Non è ancora abbastanza per dire che il 1938 è entrato nelle aule di giustizia, ma è più che sufficiente per dire che lo Stato di diritto si fa – come dire? – flessibile quando si tratta di Israele e di antisemitismo. Se il conflitto israelo-palestinese, come ormai si dice apertamente, è ciò che “purtroppo” (ricordarsi di scrivere purtroppo) “spiega” la rimonta antisemita cui stiamo assistendo, analogamente esso spiega la flessione della giustizia secondo lo stesso orientamento. Gli ebrei che non condannano il “genocidio” – siano di otto o di ottant’anni, e siano di Vancouver, di Bruxelles o di Napoli – non sono più cittadini come gli altri, ma soggetti “speciali” tenuti a quell’obbligo di denuncia. E così davanti alla legge, e nelle sedi deputate ad applicarla. Le norme protettive contro la discriminazione, contro la diffamazione, contro la denigrazione, non sono invocabili, o sono invocabili in modo dimezzato e precario, quando di mezzo c’è la rinata “questione ebraica”.
Una società pervasa dal pregiudizio è condannata. Ma quando il pregiudizio si fa giustizia e assume i galloni della legalità, allora si imbocca una strada davvero pericolosa.