Ma la "responsabilità è di Israele"
Turisti ebrei aggrediti a Venezia al grido di “Free Palestine”, il porto d’armi per la caccia all’ebreo
di Iuri Maria Prado - 12 Settembre 2025 alle 13:58
Gridavano “Free Palestine” i criminali del branco antisemita che a Venezia, hanno prima molestato e poi aggredito una coppia di ebrei. Risuona quello slogan, “Free Palestine”, nei cortei da cui si urla “Fuori i sionisti da Roma”. C’è quella sigla, “Free Palestine”, sui cimiteri ebraici devastati e sulle sinagoghe vandalizzate.
È lì salto, è lì l’avanzata qualitativa che ha compiuto il pregiudizio antisemita. Nella pretesa di “liberazione” della Palestina tramite un rottweiler sguinzagliato contro due ebrei in vacanza a Venezia (hanno fatto anche questo a quei due poveracci). Nella difesa dei diritti dei palestinesi tramite le stelle gialle sulle case degli ebrei. Nel sostegno all’autodeterminazione palestinese tramite gli insulti e le minacce a un vecchio e a un bambino davanti alla scuola ebraica di Milano. Nel supporto alla causa palestinese tramite le bastonate sulla schiena di un rabbino a Genova. E via di questo passo, per citare soltanto i casi più tenui della violenza antisemita che si va registrando pressoché quotidianamente nel Paese – il nostro – che scrisse le leggi razziali.
E non è neppure vero che a far montare quella violenza è perlopiù una propaganda menzognera, cioè la propaganda sul genocidio, sull’apartheid, sulla carestia: la retorica su queste bugie, infatti, non è la causa di quella violenza bensì il pretesto per esercitarla. Chi strilla “Free Palestine” mentre spacca le vetrine di un negozio di un ebreo; chi ringhia “Free Palestine” in faccia a un bambino di sei anni in un autogrill; chi lascia quel contrassegno, “Free Palestine”, a firma sul memoriale della Shoah ricoperto di escrementi; chi, insomma, intesta a quel proclama liberatorio la propria violenza antisemita sa perfettamente che non sta facendo proprio nulla per la presunta causa che lo muove. Giusto come un altro “liberatore”, cioè il nazista che sparava nella testa di un bambino ebreo, sapeva perfettamente che non stava salvando il popolo tedesco strangolato dalla prepotenza giudaica.
Ma il terreno da cui gemma questa rinnovata energia antisemita è in realtà fertilizzato da un concime antico, che l’etichetta “Free Palestine” consente di cannibalizzare in forme presentabili. Si tratta dell’idea che l’antisemitismo sia il frutto della colpa di chi lo subisce, un’accusa risalente che oggi si trasfigura nelle braccia allargate davanti all’episodio antisemita perché “la responsabilità è di Israele”. E così, anziché funzionare da aggravante, il pestaggio di un ebreo a Londra o a Bruxelles in nome della Palestina libera diventa un motivo di spiegazione, anticamera di una causa di giustificazione.
Non è poi casuale che l’episodio veneziano – nel Paese in cui “l’antisemitismo non ha diritto di cittadinanza” – non abbia goduto di qualche attenzione da parte della classe politica occhiutissima su quelle storie, appunto il genocidio, l’apartheid, la carestia. È una disattenzione che appartiene allo stesso rango di pregiudizio antisemita. Non è abbastanza grave da meritare attenzione il caso di quella coppia di ebrei molestata e aggredita, così come le decine di altri che finiscono, quando ci finiscono, in trafiletto: perché occuparsene significa trascurare la causa palestinese trascurando, oltretutto, che quel caso non ci sarebbe stato se Israele non perseguitasse i palestinesi impedendone la liberazione.
Questo è ormai pressappoco “Free Palestine”: una specie di patentino, il porto d’armi per la caccia all’ebreo.