Esteri
Siria-Israele, si avvicina l’accordo sulla sicurezza militare. Le nuove garanzie per i drusi
di HaKol - 24 Settembre 2025 alle 13:08
TEL AVIV
Un nuovo anno pieno di paure per gli ebrei nel mondo sta arrivando, ma forse qualcosa di nuovo e di positivo timidamente si affaccia sullo scenario mediorientale, anche se viene taciuto o tenuto “low profile” dalle piattaforme mediatiche. Nei prossimi giorni, all’Assemblea Generale dell’Onu, verrà annunciato, a meno di improbabili ma possibili colpi di scena, l’Accordo di sicurezza (non un accordo di pace o di normalizzazione) tra Israele e il nuovo regime siriano guidato dall’ex terrorista sanguinario Ahmed Al-Shara’, più comunemente conosciuto con il nome di battaglia Al Jolani.
Dopo aver fatto visita negli Usa da Trump, in Francia da Macron e in Russia da alti funzionari governativi, Al Jolani si accinge a parlare dal palco delle Nazioni Unite e se verrà firmato questo Accordo di Sicurezza tra Israele e la Siria è lecito e auspicabile pensare che possa essere il preludio, l’anticamera di un vero accordo di pace. Israele, tramite il suo ministro per gli Affari strategici Ron Dermer, ha posto delle condizioni prima di essere pronto a firmare questo storico accordo. Lo Stato Ebraico sarebbe disponibile a un ritiro parziale lasciando solo 2 km di profondità per la “zona cuscinetto” oltre il confine con la Siria ma non disponibile a ritirarsi dal Monte Hermon perché di vitale importanza strategica. Israele chiede anche una no fly zone a sud ovest di Damasco in direzione Israele e un corridoio aereo per i jet israeliani da utilizzare in caso di nuova guerra contro l’Iran.
Al Jolani, tramite il suo ministro degli Esteri, aveva già espresso il suo assenso informale alla rinuncia della sovranità siriana sulle alture del Golan occupate da Israele nella guerra dei Sei Giorni nel 1967 e annessa nel 1981. Questa rinuncia, se confermata, avrebbe come conseguenze due effetti estremamente positivi: il primo di ordine meramente geopolitico, perché ufficializzerebbe una situazione che ormai esiste da quasi sessanta anni, cancellando di fatto la risoluzione dell’Onu che dichiarò nulla l’annessione israeliana. Il secondo effetto sarebbe quello di tranquillizzare i drusi che abitano nelle Alture del Golan, circa 25.000, e offrire loro una definizione dello status di cittadini. Attualmente solo il 30% dei drusi del Golan hanno la cittadinanza israeliana, gli altri sono apolidi. La comunità drusa, pur avendo una forte identità culturale e religiosa, è leale e integrata e vive in modo armonioso accanto agli ebrei, e chiede protezione allo Stato Ebraico.
Lo scempio nella città drusa di Sweyda, in Siria, perpetrato dai beduini e dalle fazioni islamiche radicali nei confronti di uomini, donne e bambini drusi provocando 1400 morti e un numero imprecisato di donne in ostaggio, ha fatto salire alla ribalta in Israele, ma molto meno in Italia e nel resto dell’Occidente la questione drusa in Siria. I drusi sono una popolazione pacifica di origine araba che ha abbandonato l’Islam nel 1017 costituendo una religione che ha elementi cristiani ed islamici. Pur avendo le caratteristiche proprie di un popolo, non hanno velleità territoriali di autodeterminazione; si adattano pacificamente al governo dello Stato nel quale vivono. È scontato che un regime islamico sunnita come quello che si è instaurato cacciando Assad, l’Iran e i russi dal territorio siriano rappresenta, come si è tragicamente visto subito, un grave pericolo per la comunità drusa.
Nell’accordo di sicurezza, Israele chiede anche garanzie per l’incolumità dei drusi siriani; l’Idf, come ha già fatto qualche mese fa, è pronta a difenderli e a proteggerli. Bisogna anche considerare che i 25.000 drusi del Golan occupato da Israele hanno moltissimi parenti in Siria e a Sweyda in particolare: le autorità druse hanno chiesto corridoi umanitari con Israele e una maggiore solidarietà operativa da parte israeliana nei confronti dei loro fratelli siriani perseguitati e trucidati. Israeliani e drusi si considerano fratelli e questo sentimento di estrema vicinanza obbliga giustamente lo Stato Ebraico a difendere questa pacifica e orgogliosa popolazione.
Majdal Shams, villaggio druso ai piedi del Monte Hermon, è tristemente famoso per la strage dei 12 bambini drusi uccisi da un razzo di Hezbollah il 27 luglio del 2024. Quella orribile strage ha paradossalmente rafforzato i legami con il governo israeliano. Basta andare a fare una visita in quei luoghi e si può toccare con mano l’accoglienza, l’ospitalità, la gentilezza di questa popolazione che desidera solo di poter vivere liberamente, come già avviene in Israele. I drusi sono l’esempio, la testimonianza della volontà di pace e di convivenza da parte di Israele con chiunque non desideri annientarla. La comunità drusa in Israele può esprimersi liberamente a qualsiasi livello: è rappresentata in Parlamento come il resto degli arabi israeliani con un forte senso di lealtà nei confronti dello Stato Ebraico.
Ma in un mondo che parla a sproposito di genocidio, di un assurdo riconoscimento unilaterale dello stato di Palestina senza neanche chiedere come precondizione il diritto all’esistenza di Israele, la recente mattanza di Sweyda è passata quasi inosservata. Un accordo di sicurezza con un inaffidabile ex terrorista diventato premier siriano appare, in un contesto così assurdo, un lampo di luce nell’oscurità delle cancellerie occidentali.