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“Punto per punto, ecco il piano per Gaza ma senza garanzie di sicurezza salta tutto”: parla Baker, padre degli accordi di Oslo

di HaKol - 1 Ottobre 2025 alle 08:34

L’Ambasciatore Alan Baker è direttore dell’Institute for Contemporary Affairs presso il Jerusalem Center for Public Affairs e responsabile del Global Law Forum. Ha partecipato alla negoziazione e alla stesura degli Accordi di Oslo con i palestinesi, così come degli accordi e trattati di pace con Egitto, Giordania e Libano. Ha ricoperto il ruolo di consulente legale e vice direttore generale del Ministero degli Esteri israeliano.

1 Il piano parte dichiarando Gaza una “zona libera dal terrorismo”. Quali meccanismi concreti impediranno la ricomparsa di gruppi radicali?
«La forza di stabilizzazione temporanea (ISF), menzionata all’articolo 15 del piano, dovrebbe dispiegarsi immediatamente a Gaza. Questo è l’unico meccanismo concreto previsto, a meno che non ve ne siano altri non ancora annunciati. Altri strumenti, meno concreti, includono le garanzie dei partner regionali (art. 14) e la supervisione di monitor indipendenti (art. 13) sul processo di smilitarizzazione».

2 Viene posto l’accento sulla ricostruzione per la popolazione di Gaza. Quali progetti specifici sono previsti nella prima fase?
«Il piano non li dettaglia, anche se potrebbero esistere indipendentemente dal documento».

3 Il piano dice che la guerra finirà immediatamente se entrambe le parti accettano. Come si garantirà che Israele e Hamas rispettino la sospensione delle ostilità?
«Questo compito spetterebbe presumibilmente all’ISF, con il sostegno dei monitor internazionali e del nuovo Consiglio di Pace (art. 9)».

4 Entro 72 ore dall’accettazione, tutti gli ostaggi dovranno essere liberati. Quale sistema di controllo verificherà il rispetto di una scadenza così serrata?
«Ancora una volta, l’ISF, presumibilmente».

5 Israele deve liberare migliaia di prigionieri, compresi ergastolani. Quali garanzie eviteranno il loro ritorno alla militanza armata?
«Il piano rimanda soltanto ai meccanismi già citati – ISF, monitor indipendenti e Consiglio di Pace. L’articolo 6 prevede impegni formali da parte dei membri di Hamas alla pacifica convivenza: di norma, ogni detenuto firma un impegno prima della liberazione».

6 È offerta un’amnistia ai membri di Hamas che depongono le armi. Come si impedisce che diventi un escamotage per ricompattare gli estremisti sotto altri nomi?
«Attraverso i meccanismi di supervisione concordati e un monitoraggio attivo da parte delle agenzie israeliane, in coordinamento con i partner regionali. Ogni tentativo di ricompattarsi verrebbe considerato una violazione, con conseguente revoca dell’accordo».

7 Gli aiuti entreranno a Gaza immediatamente. Come si garantirà che arrivino ai civili e non ai gruppi armati?
«Attraverso l’ONU, la Mezzaluna Rossa, altre agenzie internazionali e partner globali. L’articolo 15 affida esplicitamente all’ISF la responsabilità della distribuzione».

8 Istituzioni neutrali come ONU e Mezzaluna Rossa supervisioneranno gli aiuti. Quale ruolo avranno Israele ed Egitto ai valichi di frontiera come Rafah?
«Entrambi manterranno le loro prerogative sovrane e di sicurezza per prevenire il contrabbando di armi e munizioni. Questo verrà presumibilmente coordinato con l’ISF».

9 A Gaza governerà un comitato palestinese tecnocratico temporaneo. Come saranno scelti i membri e chi garantirà la loro neutralità?
«L’articolo 9 affida la supervisione al Consiglio di Pace, presieduto da Trump e Blair. Saranno loro, presumibilmente, a selezionare i membri del nuovo comitato palestinese e a garantirne neutralità ed efficienza».

10 Questo comitato gestirà i fondi per la ricostruzione finché l’Autorità Palestinese non sarà riformata. Quali riforme le sono richieste prima di assumere il controllo?
«Deve eliminare la corruzione che ne caratterizza ogni attività, introdurre meccanismi di controllo interni, abolire la politica del “pay for slay”. Deve riformare legislazione, regolamenti, politiche educative e sociali, per rimuovere incitamento e ostilità politica verso Israele e gli ebrei».

11 Si parla di “moderni standard di governance”. A quali parametri internazionali ci si ispira per l’amministrazione di Gaza?
«Non so quali parametri esatti esistano, ma presumibilmente il piano di pace Trump del 2020 e le altre proposte citate all’articolo 9 si fondano su criteri internazionali».

[1]12 Inizia un processo di smilitarizzazione con programmi di reintegrazione e incentivi economici. Chi finanzierà e come si verificherà la compliance?
«Presumibilmente il Consiglio di Pace (art. 9), attraverso meccanismi che verranno definiti una volta operativo il piano».

13 Ai partner regionali spetta garantire il rispetto degli impegni. Quali Stati sono pronti ad assumere questo ruolo e quanto vincolanti saranno le loro garanzie?
«Probabilmente i Paesi del Golfo, insieme a Turchia, Egitto, Giordania e forse alcuni Stati europei come Grecia, Italia e Francia».

14 Il piano introduce una Forza Internazionale di Stabilizzazione. Quanto sarà grande e con quale mandato opererà a Gaza?
«Dimensioni e mandato dettagliato saranno stabiliti, come prevede l’articolo 15, dagli Stati Uniti insieme a partner arabi e internazionali, in coordinamento con Israele ed Egitto».

15 Israele non potrà annettere o occupare Gaza. Quali garanzie riceverà in cambio per tutelare la propria sicurezza?
«Israele ha chiesto e presumibilmente ottenuto – o otterrà – garanzie dagli Stati Uniti, con la chiara intesa che ogni violazione o minaccia consentirà a Israele piena libertà di azione, incluso il ritiro dall’intero accordo».

16 Se Hamas rifiuta, aiuti e ricostruzione continueranno nelle “aree libere dal terrorismo”. Non si rischia di creare una Gaza divisa con condizioni diseguali?
«Sì».

17 L’accordo prevede un dialogo interreligioso. Quali iniziative renderanno questo impegno più di un gesto simbolico?
«Esistono già iniziative simili nell’ambito delle risoluzioni ONU sulla cultura di pace. In passato vi sono stati tentativi di realizzare dialoghi interreligiosi. Io stesso ho partecipato a Istanbul a uno di questi incontri, sotto auspici turchi, ed è stato estremamente positivo».

18 Il piano indica un percorso verso l’autodeterminazione e lo Stato palestinese. Quali parametri devono essere raggiunti perché sia credibile?
«Serve una società democratica e rispettosa dei diritti umani, con elezioni autentiche, una struttura costituzionale pacifica, criteri di governance solidi e responsabili, rispetto delle norme internazionali, trasparenza, accountability e smilitarizzazione garantita, con forze di sicurezza responsabili ed efficaci».

19 Gli Stati Uniti faciliteranno il dialogo tra Israele e palestinesi. In cosa differisce questo da precedenti mediazioni americane fallite?
«Se basato su un quadro concordato, criteri chiari, pratiche solide di implementazione e volontà politica genuina, con fiducia reciproca, sarà diverso dai precedenti tentativi unilaterali e politicamente distorti».

20 Il piano si presenta come fondamento per pace, sicurezza e prosperità. Cosa lo rende più resiliente rispetto agli accordi del passato?
«La consapevolezza che, se fallisse o fosse violato, Israele avrebbe piena prerogativa – con l’accordo degli Stati Uniti – di riprendere le operazioni militari a Gaza».

+1 E infine: cosa succede se Hamas rifiuta di firmare l’accordo?
«La guerra continua, con il sostegno degli Stati Uniti a qualunque azione Israele decida di intraprendere».

[1] https://www.ilriformista.it/2-59/

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