Le Ragioni di Israele

9 ottobre 1982, a 43 anni dall’attentato alla Sinagoga si respira lo stesso clima antisemita

di HaKol - 9 Ottobre 2025 alle 12:00

C’è stato un tempo in cui il dialogo era possibile, in cui i giovani erano i veri promotori del progresso e le battaglie quotidiane avevano come obiettivo un futuro di convivenza. “Esistere, vivere, convivere”: così recitava uno striscione del 1982. Parole profonde, cariche di speranza, portate per le vie di Roma dai giovani della Comunità ebraica dopo l’attentato di matrice palestinese alla Sinagoga del 9 ottobre di quell’anno.

Quelle parole esprimevano il desiderio che la convivenza pacifica non fosse più considerata un miracolo. Quel maledetto 9 ottobre di 43 anni fa ci furono decine di feriti e morì un bambino: Stefano Gaj Taché, italiano ed ebreo. La sua morte è diventata il simbolo di una battaglia persa allora, ma che i giovani ebrei non vogliono perdere di nuovo. La Comunità ebraica di Roma reagì comunque con un messaggio chiaro: vogliamo esistere, vivere e convivere. Oggi, da un altro ottobre – il 7 del 2023 – sembra che l’Italia sia tornata indietro nel tempo. Chi visse quegli anni duri, i nostri genitori e nonni, racconta che l’aria che si respirava prima del 9 ottobre è “troppo simile a quella di oggi”: ebrei isolati, percepiti come diversi, considerati complici. A molti veniva chiesto di prendere le distanze da Israele, di discolparsi per qualcosa su cui non hanno alcun controllo. Questo è antisemitismo. E ne abbiamo abbastanza. Vogliamo il diritto allo studio, alla libertà religiosa, a vivere da cittadini come tutti gli altri. Allora c’era la guerra in Libano, oggi c’è quella a Gaza.

Da due anni ormai nelle piazze italiane si avverte un’incapacità crescente di elaborare pensieri complessi: tutto viene ridotto a slogan vuoti e posizioni precostituite. Ma il nostro dovere è ribadire che ciò che è accaduto il 9 ottobre non deve ripetersi. Non è una cornice storica: è una necessità morale. Le nuove generazioni ebraiche non devono limitarsi a sopravvivere. Non devono nascondere la propria stella di David o il loro legame con lo Stato d’Israele. Devono poter vivere, esistere e convivere. Con tutti. Se questo oggi non è possibile, la responsabilità non è nostra, ma di chi ha scelto la via più facile: quella della semplificazione, dello schieramento cieco, della narrazione del falso Davide contro Golia, della “resistenza legittima” che diventa giustificazione dell’odio.

Cos’altro deve accadere perché si aprano finalmente gli occhi? Quante altre minacce, quante insegne distrutte, quante aggressioni verbali e fisiche serviranno prima di capire che il finale, che noi conosciamo già, è vicino? Non vogliamo che si ripeta il passato. Lo abbiamo gridato e continuiamo a farlo: conosciamo la conclusione di questo film. Facciamo in modo che non accada di nuovo. Oggi, nel 43esimo anniversario dell’attentato alla Sinagoga di Roma, chiediamo a gran voce: svegliamoci da questo incubo e ripartiamo verso un presente e un futuro di convivenza. Facciamolo per Stefano Gaj Taché, affinché nessun’altra famiglia debba più soffrire per l’odio degli altri.

Il grande archivio di Israele

Abbonamenti de Il Riformista

In partnership esclusiva tra il Riformista e JNS

ABBONATI