Le Ragioni di Israele

Hamas, chi vuole legittimare i terroristi a Gaza? Quando l’Italia non si piegò al ricatto

di HaKol - 12 Ottobre 2025 alle 10:35

Nel marzo del 1978, con il sequestro di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, lo Stato italiano si trovò di fronte a una delle scelte più drammatiche della sua storia repubblicana: trattare o non trattare con i terroristi?

Prevalse quella che venne definita la “strategia della fermezza”: nessuna trattativa, nessuna concessione. Lo Stato non si sarebbe piegato al ricatto. All’interno di questo fronte, la posizione di Enrico Berlinguer fu tra le più nette. Il segretario del Partito Comunista Italiano non solo sostenne la linea del governo, ma si spinse oltre, rifiutando anche solo l’ipotesi di un dialogo con chi impugnava le armi contro la democrazia. Non era solo una questione di principio, ma di immagine e responsabilità storica: il PCI non poteva permettersi alcuna ambiguità. Prendere le distanze dai terroristi era una necessità politica e morale. E così fece.

Fu una scelta che molti all’epoca trovarono glaciale. Craxi, ad esempio, tentò una strada diversa: quella dell’attenzione alla persona, all’uomo Moro, alla sua vita. Era una posizione umanamente più empatica, ma politicamente minoritaria. Io, probabilmente, tra mille dubbi, sarei stato dalla sua parte. Oggi possiamo discuterne ancora, ma resta il fatto che la fermezza, in quel contesto, aveva un senso profondo: impedire che la democrazia cedesse il passo alla logica della violenza.

Ma cosa resta di quella fermezza? Oggi assistiamo a una trasformazione profonda nel modo in cui parte della politica italiana (e non solo) si relaziona con il fenomeno del terrorismo internazionale, in particolare con Hamas. Con il pretesto della “rappresentanza” o della “resistenza”, si assiste a una crescente legittimazione politica di un’organizzazione che ha fatto dell’arricchimento a danno della propria popolazione un mezzo per finanziare la jihad. Non ha governato per migliorare le condizioni di vita dei palestinesi, ma per rafforzare un potere fondato sull’ideologia e sulla militarizzazione, mentre la popolazione veniva lasciata sotto embargo, senza prospettive.

Fino a qualche tempo fa, questa ambiguità veniva almeno mascherata con un certo pudore. Oggi, invece, si parla apertamente della necessità di includere Hamas nella fase costituente per il futuro della Palestina. Si propone di farli sedere al tavolo con gli attori internazionali, trattandoli come interlocutori politici, nonostante la loro lunga e documentata storia di azioni terroristiche. In altri tempi, certe posizioni avrebbero destato imbarazzo. Oggi, al contrario, vengono rivendicate con fierezza – e chi le denuncia, spesso, viene isolato o addirittura ridicolizzato. In realtà, la spinta a legittimare Hamas sembra rispondere non solo a motivazioni geopolitiche, ma anche – e soprattutto – all’esigenza di non mettere in discussione un totem ideologico: l’autodeterminazione come valore assoluto, svincolato da ogni giudizio su chi la rivendica e con quali mezzi.

Si tenta di giustificare tutto appellandosi al diritto dei palestinesi, per poi precisare – non senza imbarazzo – che “Hamas non è il popolo palestinese”, e su questo si può essere d’accordo. Ma intanto Hamas diventa, di fatto, un attore legittimato. Per rafforzare questa narrazione si ricorre anche a un altro schema ben noto: l’ombra del neocolonialismo. Si insinua che l’Occidente – più che portare aiuti – voglia approfittare della ricostruzione per imporsi economicamente e politicamente a Gaza. E allora Hamas, da organizzazione terroristica, viene riqualificata come “elemento di equilibrio”, utile a contenere lo sciacallaggio occidentale. È un cortocircuito logico e morale che dovrebbe far riflettere. Ma non lo fa.

La miopia, oggi, arriva fino al punto di concedere cittadinanze onorarie come se nulla fosse a personaggi che non nascondono la propria simpatia per Hamas e che si infastidiscono perfino solo al sentire nominare Liliana Segre. Segno che la linea del rispetto non è solo stata superata: è stata smantellata, pezzo dopo pezzo, in nome di un relativismo tossico travestito da impegno politico.

Il grande archivio di Israele

Abbonamenti de Il Riformista

In partnership esclusiva tra il Riformista e JNS

ABBONATI