"Il mio 7 ottobre non si chiuderà mai"

Nadav e l’amico salvato al Nova Festival dalla giovane Shani, poi uccisa da Hamas: il racconto e le lacrime alla Comunità ebraica di Milano

di HaKol - 17 Ottobre 2025 alle 12:42

Del 7 ottobre, ci sono i sommersi e ci sono i salvati. Ma, come dice Primo Levi, anche chi si è salvato porterà con sempre sé il peso di quell’incubo. Uno di loro è Nadav Morag, un ragazzo di 25 anni, invitato dalla Comunità ebraica di Milano a parlare, ieri, di quelle dodici ore durante le quale è passato da un rave a un incubo. Mentre è in corso il flash mob dei giovani ebrei milanesi, per il ritorno a casa dei rapiti, Nadav ripecorre quei momenti.

«Avevo deciso di andare al Nova Festival, con il mio amico Yoni, solo all’ultimo minuto. Era tutto tranquillo. Organizzato alla perfezione. Tutto perfetto fino alle prime ore dell’alba». Il ricordo del giovane è fatto di minimi dettagli. I balli notturni, la tenda dove avrebbero dovuto passare la notte. Poi l’attacco. «Abbiamo cominciato a scappare seguendo la folla. Ma eravamo tutti in macchina ed era impossibile andare avanti. Le strade erano piene. La gente urlava. Non si capiva più chi fossero le vittime e chi i terroristi. Siamo scesi e abbiamo proseguito a piedi. Non so per quanto tempo abbiamo vagato nel nulla. Il cielo era attraversato da missili».

L’odissea dei due ragazzi s’interrompe quando, su una strada, incrociano una macchina. Al volante c’è una ragazza. È ferita gravemente al braccio e al ginocchio. Ancora oggi Nadav non riesce a spiegarsi come potesse guidare. «Non seguite questa strada – dice lei – è piena di terroristi. Andate dall’altra parte». La ragazza di chiama Shani Gabay. Il suo consiglio sarà provvidenziale per Nadav e Yoni. Per lei non c’è stato nulla da fare. Del suo corpo verranno trovate solo alcune minuscole tracce, insieme a quelle di altre diciotto persone, a bordo di un’ambulanza bruciata. Nadav e Yoni, invece, verranno recuperati nel pieno pomeriggio dall’esercito israeliano.

«Non c’è stata più vita per noi da quando è morta Shani», dice la madre, Michal, venuta anche lei ieri sera alla Sinagoga centrale di Milano, a commemorare il 7 ottobre. Con lei c’è l’altra figlia. Tutta la famiglia ha smesso di lavorare. La normalità delle giornate è stata annientata. A bassa voce, Michal spiega che è solo il ricordo di Shani a far andare avanti la famiglia. «E se non fosse così, davvero tutto sarebbe finito».
«Facevo l’informatico – spiega di nuovo Nadav – oggi cerco di aiutare le persone che hanno vissuto un trauma come il nostro e che non sono riemerse dall’incubo».

Ma come c’è stato un 7 ottobre 2023, c’è anche un 13 ottobre. Di quest’anno. Quando gli ultimi ostaggi sono stati liberati. «La scorsa settimana ero carico di gioia. Non sapevo come esprimere la mia felicità», dice Nadav. «Poi, lunedì, il giorno della loro liberazione, non so perché, ma riuscivo ad alzarmi dal letto». La ferita non è rimarginata. Soprattutto per le famiglie di chi non ce l’ha fatta. «È stata una felicità incompleta, la nostra», dice Michal. «Non solo per Shani, che non è più tornata a casa. Ma per quei poveri morti che ancora non sono nelle mani di Hamas. Il mio 7 ottobre non si chiuderà mai. Anche per questo».

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