Guerra
Netanyahu attacca ancora, i raid potenti e il colpo psicologico. Preoccupazioni per la ripresa del conflitto
di HaKol - 30 Ottobre 2025 alle 13:56
Benjamin Netanyahu aveva promesso attacchi “potenti” e immediati contro la Striscia di Gaza. E così è stato. I morti registrati nella regione palestinese sono stati oltre un centinaio, tra cui decine di donne e minorenni. E il segnale lanciato dal premier israeliano con i raid di martedì sera (cui sono seguiti altri bombardamenti ieri, soprattutto nel nord) è stato chiaro: Hamas può essere colpita, in modo letale, al primo errore. Come ha scritto il quotidiano Maariv, l’operazione avvenuta martedì è quasi paragonabile a quella dei cercapersone contro Hezbollah. Non per la complessità, numero di feriti o per il livello di infiltrazione dimostrato da Israele, ma per il colpo psicologico.
Una devastazione immediata. Obiettivi in tutta la Striscia di Gaza colpiti nell’arco di pochi minuti che hanno confermato come l’Idf abbia un occhio su tutto quello che avviene nella regione. E che sa colpire dove e quando vuole non appena la situazione richiede una presa di posizione più dura. Secondo la Difesa israeliana, sono stati colpiti “terroristi chiave, posti di osservazione, magazzini per la produzione di armi, postazioni di lancio, tunnel sotterranei e postazioni di lancio di mortai”. E pagare con la vita, sono stati “una trentina di terroristi che ricoprivano posizioni di comando nelle organizzazioni operanti a Gaza”, tra cui anche elementi considerati pericolosi come Muhammad Isa, Fawwaz Uwayda, Muhammad Abu Sharia e Nidal Abu Sharia, Hatem Maher Mousa Qudra.
Gli attacchi sono stati estremamente pesanti. Le autorità di Gaza hanno ribadito che nel centinaio di morti e negli oltre 250 feriti vi sono stati anche bambini e donne. Le immagini hanno mostrato una vera e propria cin tura di fuoco su diversi centri della Striscia, da Rafah a Gaza passando per Deir el-Balah. Ma nonostante la violenza dei raid e le accuse incrociate di Hamas e Israele, la tregua non è naufragata. La milizia palestinese ha tenuto a precisare di estranea all’attacco a Rafah in cui è stato ucciso un soldato israeliano. Un attacco che, insieme alla messinscena sui cadaveri degli ostaggi rivelata dall’Idf, ha scatenato l’ondata di bombardamenti. La stessa Hamas ha detto di volere mantenere fede all’accordo voluto a tutti i costi dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e di volere consegnare altri corpi di rapiti del 7 ottobre 2023. Mentre sull’altro fronte, il governo israeliano ha evitato di riprendere i raid ufficializzando una sorta di ripresa del cessate il fuoco già dalle 10 della mattina.
Una scelta che non è piaciuta al ministro della Sicurezza interna, Itamar Ben-Gvir, che ha puntato il dito contro Netanyahu accusandolo di avere bloccato i bombardamenti. “Ricordo al primo ministro il suo impegno a raggiungere tutti gli obiettivi della guerra. Se decide di rinunciare all’obiettivo di distruggere Hamas e si accontenta di uno smantellamento solo di nome”, ha detto il “falco” della destra radicale, “il governo non avrà il diritto di esistere”. Ma l’impressione è che “Bibi” abbia scelto per un’ondata di raid potenti ma circoscritti nel tempo per evitare che da Washington arrivassero segnali negativi. Trump non vuole in alcun modo che il suo piano di 20 punti, finora il suo principale risultato in politica estera in questo secondo mandato, crolli dopo poche settimane. “Nulla metterà a rischio il cessate il fuoco. Hamas rappresenta solo una piccola parte della pace in Medio Oriente e deve comportarsi di conseguenza”, ha dichiarato il tycoon dopo l’escalation.
Gli stessi partner arabi hanno evitato di condannare in modo plateale i bombardamenti israeliani. Il ministro degli Esteri del Qatar Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, in una dichiarazione al Council on Foreign Relations di New York, ha parlato di fatti “molto deludenti e frustranti” includendo le violazioni di entrambe le parti. E tutto fa credere che l’interesse di Hamas, dei Paesi arabi, degli Stati Uniti ma anche di Israele sia quello di ridurre il tutto a un incidente di percorso. Perché la ripresa del conflitto è uno scenario che preoccupa la comunità internazionale così come Netanyahu, che dovrebbe poi giustificare al proprio elettorato ma anche al suo alleato Oltreoceano la fine della tregua. E in questo momento, tra le elezioni che si avvicinano e una Casa Bianca in pressing, non ha ancora lo spazio di manovra necessario.