Le Ragioni di Israele
Francesca Albanese, la disinibita “giurista” protagonista dello scandalo istituzionale (e politico)
di Iuri Maria Prado - 31 Ottobre 2025 alle 11:41
Lo scandalo che coinvolge Francesca Albanese, la “special rapporteur” alle Nazioni Unite, è istituzionale ed è politico. È istituzionale, innanzitutto, sotto un duplice profilo. In primo luogo, perché l’attivismo militante di questa disinibita “giurista” contravviene in modo plateale ai doveri di pubblica ritenutezza che incombono sui consulenti del suo rango.
In secondo luogo, e conseguentemente, perché quel suo comportamento compromette l’integrità dell’immagine e la credibilità dell’organizzazione in favore quale (e in nome della quale) presta la propria attività. Se Francesca Albanese sbuffa e se ne va indispettita da uno studio televisivo perché sente evocare il nome di una sopravvissuta di Auschwitz, senatrice a vita della Repubblica; se usa i social media per istigare i titolari degli esercizi commerciali a imitare la pizzaiola napoletana che molesta i clienti israeliani, discriminandoli secondo che “combattano” o no contro il cosiddetto genocidio e il presunto apartheid; se si rivolge alle Comunità ebraiche dicendo “chi vi credete di essere?”; se fa pubblici paragoni tra la classe dirigente di un democratico Stato sovrano e quella del Terzo Reich; se, insomma, quotidianamente e sempre più gravemente si abbandona a comportamenti a dir poco inappropriati, il risultato dannoso non riguarda più soltanto la sua personale posizione, bensì anche l’affidabilità dell’istituzione per la quale lavora.
Ma è poi politico il caso che riguarda Francesca Albanese. È politico perché il mancato rimedio allo sbrego istituzionale di cui si rende responsabile ha un ricasco devastante sui rapporti tra le Nazioni Unite e gli Stati membri, obbligati ad assistere a un dibattito intorno alla persona di Francesca Albanese che scade nel tifo, nell’opposizione delle fazioni che rispettivamente ne celebrano o ne contestano l’azione propagandistica.
Un’azione ammissibilissima da parte del militante qualsiasi, appunto, e certamente da parte di chi competa nel sistema politico rappresentativo: non più, al contrario, se a esercitarla è il funzionario o il consulente che si fa capo-popolo, oltretutto adoperando il cartiglio dell’incarico tecnico alle Nazioni Unite per dare legittimazione di neutralità alle proprie abitudini comizianti. Si è messa Francesca Albanese, in questa situazione: responsabilità sua. Ma lasciare che vi rimanga è responsabilità – molto più grave – di chi dovrebbe sollevarla da un ruolo che non dovrebbe poter svolgere ulteriormente.