Per Israele
La percezione narrativa di Eretz Israel nel corso dei secoli e delle opere letterarie
di HaKol - 6 Novembre 2025 alle 19:14
Il bel libro ad opera di Daniela Santus e Matteo Bona è pensato dagli autori per gli studenti di un corso di Geografia Culturale, ma può senz’altro costituire un’utile e piacevole lettura anche per tutti coloro che si interessano al tema. Gli autori tentano – riuscendoci egregiamente – di far incontrare la geografia e la letteratura. L’intento non è certamente politico, anche se la prima parte del volume andrebbe – a mio avviso – letta da chi si interessa oggi alle vicende mediorientali, per la chiarezza dell’esposizione e lo sguardo di lunghissimo periodo che la contraddistingue.
L’opera si divide in due parti distinte: la prima, a cura di Santus, si propone di offrire un quadro il più possibile multidisciplinare relativo alla percezione della Terra d’Israele nel corso dei secoli, prima della nascita dello Stato ebraico; la seconda, ad opera di Bona, analizza varie opere letterarie nel loro contesto storico, con l’intento di evidenziare quale sia stato in queste ultime la percezione della Terra d’Israele (o Terra Santa, per i cristiani). Attraverso la disamina di quattro autori – Melville, Eliot, Twain e Potok – si evidenzia quali siano stati nel recente passato i possibili approcci al territorio in questione, e come il background culturale e la diversa appartenenza religiosa abbiano influenzato le modalità descrittive.
Partendo dalla propria esperienza personale e dal suo primo contatto con la realtà dei kibbutzim del Negev, Santus apre le sue riflessioni con una veloce disamina del significato del termine “sionismo” – un termine che purtroppo vediamo oggi utilizzare da moltissimi senza cognizione di causa nell’ambito del dibattito geopolitico. Nel primo capitolo, l’autrice fornisce in modo rapido e chiaro le informazioni fondamentali relative alla Bibbia ebraica, Tanakh – l’Antico Testamento dei cristiani – e alla formazione di quel testo fondamentale per gli ebrei che è il Talmud. Dopo aver ripercorso brevemente le vicende del popolo ebraico sino alla rivolta di Bar Kokhba (132-135), che comportò per la regione un cambio di denominazione (il termine “Provincia Iudea” fu sostituito dai Romani con quello di “Syria Palaestina”), l’autrice si occupa della questione dei confini, essenziale ai fini dell’osservanza dei precetti ebraici (mitzwot), che muta a seconda che ci si trovi dentro o fuori la Terra d’Israele.
Il secondo capitolo è dedicato alla “geografia ebraica”. L’autrice affronta il tema dei toponimi utilizzati nei secoli per definire il territorio in esame: Eretz Israel, Israele, regno di Giuda e regno d’Israele, Provincia Giudea, Provincia di Siria Palestina, Palestina, Terra Santa, Stato di Israele. Al centro, sia geograficamente che idealmente, Gerusalemme.
Nei paragrafi seguenti, l’autrice smonta una narrazione oggi molto diffusa, ma non per questo corretta, quella che vorrebbe negare la persistenza, nel corso dei secoli, della presenza ebraica. Ancora seicento anni dopo la distruzione del Tempio, gli ebrei erano la maggioranza nella regione. L’analisi di vari diari di viaggio redatti da ebrei consente di fornire cifre abbastanza precise relativamente alla consistenza della popolazione ebraica tra Medioevo e prima Età Moderna.
L’autrice tratta poi delle ondate migratorie (alyot) all’inizio dell’Ottocento, in parte legate a forti credenze messianiche, che portarono al raddoppiamento della popolazione ebraica della regione (1808-1840). Con la disgregazione dell’Impero Ottomano si ebbero altre alyot, e con la nascita del sionismo i nuovi immigrati portarono con sé una cultura laica e collettivista, che sfociò nella creazione del sistema dei kibbutzim.
Il terzo capitolo è dedicato a Gerusalemme e al suo significato per il popolo ebraico (significato che negli ultimi decenni si è tentato in tutti i modi di sminuire, basti pensare a chi sostiene che l’area del Monte del Tempio debba essere considerata solamente musulmana). I numerosi tentativi di recidere ogni legame ebraico con la sua Capitale non ebbero successo: alla fine della cena pasquale ebraica ogni anno l’augurio è “l’anno prossimo a Gerusalemme”. Gli ultimi due capitoli sono dedicati alla letteratura di viaggio nei secoli e a quella ebraica contemporanea, e forniscono un interessante spaccato della duplice percezione (ideale e reale) di Eretz Israel e di Gerusalemme da parte degli autori.
La seconda parte del volume è costituita dall’ottima trattazione di Bona, e ha per titolo “Raccontare Eretz Israel: viaggi, memoria e identità attraverso la lente della Letteratura”. L’impostazione è qui decisamente letteraria, e forse un po’ troppo complessa rispetto al pubblico di riferimento. Questa piccola critica, per altro, nulla toglie al valore della trattazione. Bona dimostra una sicura conoscenza della materia e delle varie correnti critiche sottese alla sua interpretazione letteraria. Il materiale è diviso in quattro capitoli, ognuno dedicato a un autore moderno diverso (di cui uno solo ebreo), tutti corredati da un’ottima introduzione di carattere metodologico. Particolarmente interessante ho trovato il capitolo dedicato a Mark Twain e alla nascita della letteratura di viaggio “di consumo”, che si affianca a una serie di scoperte scientifiche e di grandi opere (come il Canale di Suez) in grado di ridurre drasticamente i tempi del viaggio.