Le Ragioni di Israele
“Ebrei di m…, vi ammazzo”, l’aggressione alla stazione di Milano e la testimonianza: “Calci e pugni, c’è chi sogghignava”
di HaKol - 12 Novembre 2025 alle 11:45
È bastata una kippah. Un libero segno di fede, di identità, ha innescato la furia cieca dell’odio. È il segno del tempo che squarcia la normalità e torna a bussare alle porte dell’abisso. Un gruppo di giovani ebrei ortodossi americani controlla gli orari sul tabellone alla Stazione Centrale di Milano. Sembra un lunedì pomeriggio come gli altri, tra la folla distratta e il solito via vai di trolley e annunci ai binari, ma si trasforma presto in un incubo. Un cittadino pakistano di 25 anni si avvicina alla comitiva nei pressi della banchina 8. Inizia a inveire, a lanciare parole intrise di disprezzo: «Ebrei di m…», «Voi ammazzate i bambini e io vi ammazzo». Poi passa all’azione. Calci, pugni, un colpo terribile al capo con un pesante anello contro un 25enne. All’improvviso, le urla. Il caos.
Richiamato dalla folla, un addetto alla sicurezza di FS Security avverte la Centrale Operativa di Polfer. Le pattuglie della Polizia Ferroviaria, poco distanti, intervengono subito e bloccano l’aggressore. Il pakistano, appena giunto a Milano a bordo di un convoglio ferroviario da Trento, viene arrestato per lesioni aggravate dall’odio razziale. La «gravità della condotta, l’efferatezza e la totale assenza di resipiscenza» fanno scattare la convalida dell’arresto e il carcere.
Un testimone, che vuole restare nell’anonimato, racconta al Riformista la dinamica dell’accaduto: «Io, come almeno altre 30 persone, ero praticamente di fronte al tabellone degli orari dei treni della stazione. Abbiamo sentito delle urla. Inizialmente non si capiva da dove provenissero, ma abbiamo notato un signore incappucciato che stava tirando dei pugni in maniera molto violenta. Abbiamo urlato alla polizia e alla sicurezza di venire in fretta. Le donne urlavano e guardavano con orrore l’uomo che stava cercando di colpire violentemente gli ebrei ortodossi».
La vittima viene portata al Fatebenefratelli in codice verde. Non è grave. Ma la ferita più profonda non è quella che si ricuce con qualche punto: è quella che riapre la paura di un antisemitismo che non ha mai smesso di pulsare. Un veleno che si sta propagando, giorno dopo giorno, nelle nostre città. Ed è l’indifferenza che genera un clima infestato, che poi prende corpo in inquietanti risate e approvazioni di fronte a un’aggressione del genere.
Il testimone svela alcuni dettagli agghiaccianti: «Una delle cose che più mi ha lasciato basito, oltre alla violenza a cui ho assistito, è che c’erano delle persone, poche, che affermavano che il pakistano avesse fatto bene». Ecco la rappresentazione plastica della mostruosità. Godere ed esultare per la violenza contro gli ebrei. Certo, non tutti vengono contagiati dal virus: «La maggior parte delle persone era ovviamente disgustata dal violento gesto». Ma non passa inosservato chi «sogghignava» e chi «è rimasto indifferente». Quel colpo alla testa non ha ferito solo un giovane ebreo. Ha ferito la coscienza di un Paese intero. Riflette una società che si abitua all’odio, che preferisce ridere invece di reagire. E che così dà il lasciapassare all’antisemitismo.