Le connessioni

Hamas, Hezbollah e narcos, l’asse oscuro contro Israele. Spinelli: “Fortissime relazioni con i terroristi”

di Andrea B. Nardi - 19 Novembre 2025 alle 11:19

Esperto di difesa e sicurezza, consulente della Camera dei deputati, Gianpiero Spinelli ha condotto operazioni in Medio Oriente, Africa, America Latina come U.S. Department Of Defense Military & Security Contractor, e in Israele con il Magav, polizia di frontiera. È istruttore di antiterrorismo delle forze di polizia brasiliane contro il narcotraffico.
Ci sono connessioni tra il terrorismo mediorientale e il narcotraffico sudamericano?
«Ci sono fortissime relazioni tra i terroristi e i narcos. Uno dei nodi più importanti è la triplice frontiera tra Brasile, Paraguay e Argentina. È una zona senza controlli, di fatto senza legge. Dagli anni ’90 è nata un’alleanza tra Hezbollah e la famiglia Barakat, libanesi emigrati in Paraguay, che si occupava dei finanziamenti amministrando un grande centro commerciale a Ciudad del Este, Shopping in America, che era il comando generale del gruppo per produrre e riciclare fondi illeciti. Sono legati al venezuelano di origine libanese Tareck El Aissami, ministro dell’Industria del Venezuela, uno dei dieci boss di Hezbollah, referente del cartello Los Soles, composto quasi interamente da esponenti militari venezuelani che forniscono passaporti ai terroristi. Qui operano i fratelli libanesi Jaber, i maggiori narcos fra Brasile, Colombia e Bolivia: secondo la DEA, corrompono molti politici per dare immunità anche ai jihadisti. Alex Nain Saab Morán, libanese, e Walid Makled, siriano, i maggiori esportatori di cocaina verso l’Europa, operavano lì con le Farc colombiane e la ’Ndrangheta, con la protezione di Maduro, e hanno dato grande supporto a Hezbollah. Nel quartiere di Bras a San Paolo c’è la più grande comunità libanese in America Latina, e il primo comando del PCC, il massimo cartello sudamericano. L’intreccio narcos-Hezbollah è strettissimo: con i soldi della droga si finanzia il terrorismo, e in Sudamerica i terroristi creano basi di addestramento lontane dagli interventi israeliani. Adel El Zabayar, ex deputato venezuelano, era l’intermediario per gli scambi cocaina-armi tra il governo di Maduro, Hezbollah e Hamas. Infatti anche Hamas è presente: Salah Abdul Karim Yassine, ora arrestato, addestrava cartelli come PCC, CV e Novo Cangaço con gli stessi ordigni e droni usati in Medio Oriente. Si può continuare per molto: c’è una totale commistione fra narcos, facções criminali e terroristi “palestinesi”».
Le popolazioni di Gaza, Samaria e Giudea sono complici di Hamas?
«Sì. A differenza di altri Paesi arabi, nelle regioni cosiddette “palestinesi” c’è una grandissima promiscuità tra terroristi e popolazione. Infatti, nonostante la colossale attività delle Forze antiterrorismo israeliane e dello Shin Bet, la miglior struttura di intelligence interna al mondo, i “palestinesi” fanno terrorismo da 70 anni: ciò è possibile solo perché la popolazione araba è un moltiplicatore di forza di Hamas. In Samaria trovavamo sempre armi e attrezzature in case di famiglie non schedate come affiliate a gruppi combattenti. Nella mattanza del 7 ottobre, mentre Hamas assassinava innocenti israeliani, gli stupri e i saccheggi furono compiuti da civili “palestinesi”, e molti ostaggi sono stati tenuti prigionieri in abitazioni di famiglie arabe “normali”. Le stazioni di missili o comunicazione di Hamas sono in strutture civili. Il supporto della popolazione araba verso Hamas è palese. Anche in Cisgiordania oltre il 70% della popolazione sostiene Hamas: se si va a Gerico, a Ramallah, a Jenin ciò è evidente. Non lo dico solo io, ma organismi internazionali imparziali».
E le accuse di genocidio?
«Non c’è stato alcun genocidio. Ci sarebbero immense fosse comuni a Gaza, che non esistono. I veri genocidi furono in Bosnia, in Ruanda. La guerra a Gaza è in aree urbane contro un esercito in abiti civili che combatte da dentro le case della popolazione. L’Idf deve condurre operazioni molto chirurgiche, e se ci sono danni collaterali è a causa della promiscuità fra Hamas e la popolazione gazawa: se un missile parte da casa mia, le contromisure per la sua geolocalizzazione individueranno casa mia, quindi è ovvio che la risposta colpirà casa mia. Non c’è da recriminare nulla all’Idf, e se i militari israeliani sbagliano o non rispettano protocolli di sicurezza verso i civili vengono processati e pagano, a differenza di Hamas. Le attività belliche dell’Idf sono condotte in modo molto attento a non commettere errori, dacché la propaganda a cui il mondo abbocca è già di per sé un’arma contro Israele».
Hamas usa le armi ma soprattutto la propaganda?
«Il terrorismo moderno ha più bisogno di narrativa che di armi. Ciò che dà potenza all’attività bellica è la propaganda, poiché crea proselitismo; e oggi non si è fatto proselitismo solo dentro le comunità musulmane come facevano Al Qaida e l’Isis: ora coinvolge società non legate all’Islam. È studiata da menti raffinate che riescono a legittimare il terrorismo attaccando Israele con maggior forza delle armi, con l’obiettivo di creare a livello globale una disarticolazione interna del tessuto sociale occidentale. Dietro tale narrativa di fake news per indebolire internazionalmente Israele c’è una regia di Paesi arabi e no, con apparati di intelligence assai sofisticati. È orchestrata così bene da far credere alle deboli menti occidentali che i jihadisti assassini siano vittime e gli israeliani aggrediti che si difendono siano colpevoli: una follia».

Il grande archivio di Israele

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