Le Ragioni di Israele
Fronte libanese, Israele in allarme Hezbollah si sta riarmando nel sud
di HaKol - 21 Novembre 2025 alle 09:53
Il fronte libanese trema. E a un anno dall’inizio del cessate il fuoco tra Hezbollah e Israel defense forces, il pericolo, per gli analisti, è che la situazione possa sfuggire di mano. Nelle ultime settimane, i bombardamenti israeliani si sono intensificati. E l’escalation è uno scenario sempre più concreto. Secondo l’intelligence e la Difesa dello Stato ebraico, Hezbollah si sta riarmando nel sud. Per l’Idf, il gruppo “sta lavorando per ripristinare le sue capacità nel villaggio di Beit Lif, nel Libano meridionale, in palese violazione degli accordi”. L’esercito crede che il Partito di Dio abbia ripreso a realizzare “infrastrutture terroristiche” all’interno di aree residenziali o di edifici usati dai civili. E questo, a detta di Israele, è il superamento di una linea rossa.
La situazione appare particolarmente critica. Anche perché dopo l’attacco compiuto dallo Stato ebraico al campo profughi palestinese di Ain al-Hilweh a Sidone, il rischio è che si uniscano due obiettivi: Hezbollah ma anche Hamas. La realtà dei campi palestinesi in Libano resta una materia spinosa anche per la politica di Beirut. Ma la questione impellente, ora, per il governo, per il presidente Josef Aoun e per la comunità internazionale è capire come gestire la possibilità di un ritorno alla guerra se il disarmo di Hezbollah non sarà realizzato. Soprattutto dopo che negli ultimi raid sono morti e sono stati feriti diversi civili. Il premier Benjamin Netanyahu ha dato ordini precisi, se non un vero e proprio ultimatum all’esecutivo libanese. Il Partito di Dio, la longa manus dell’Iran, deve essere disarmato, anche entro la fine di quest’anno. La pressione è aumentata anche dagli Stati Uniti, che hanno anche messo sul piatto la possibilità di interrompere il flusso di aiuti in caso di mancato rispetto del piano su disarmare Hezbollah.
Da Washington, anche dopo l’incontro tra Mohammed bin Salman e Donald Trump, confidano che il principe saudita possa avere un peso nei futuri investimenti del Paese agevolando questa road map del disarmo. Ma a Beirut, che non sono certo sordi né ai richiami americani né al pressing dei partner arabi o alle minacce israeliane, restano due nodi da sciogliere fondamentali. Il primo, le capacità delle Lebanese armed forces di adempiere ai compiti assegnati. Il secondo, riuscire a trovare un equilibrio interno con Hezbollah che eviti di fornire al movimento sciita un assist politico formidabile, ovvero far vedere che il governo esegue ciò che viene chiesto da Israele. Quindi, formalmente, da un Paese nemico.
Il premier libanese Nawaf Salam ha accusato Israele di non rispettare la tregua e non volere negoziati. Netanyahu continua a non volere compromessi e ha aumentato i bombardamenti non solo nel sud del Libano ma anche in altre zone del Paese, a cominciare dalla valle della Beqaa, santuario di Hezbollah. Il movimento filoiraniano però, nonostante i colpi durissimi ricevuti da quando è iniziata la guerra, ha saputo resistere. La sua capacità di intestarsi anche l’idea della resistenza nazionale, e non solo settaria, nei confronti di Israele ha fatto sì che il partito abbia mantenuto una buona base di consenso non solo tra i miliziani. E oltre a questo, la comunità internazionale è preoccupata dal fatto che gli attacchi israeliani possono far naufragare il cessate il fuoco ma anche riaccendere un fronte estremamente complesso, capace di minare anche l’equilibrio (fragile) del Libano. Ieri, la Francia, da sempre protagonista nel Paese dei cedri, ha chiesto allo Stato ebraico di fermare l’escalation.
“Condanniamo gli attacchi israeliani che stanno uccidendo civili nel sud. La nostra posizione è di rispetto per il cessate il fuoco del 27 novembre 2024” ha detto il ministero degli Esteri di Parigi. Da Oltralpe è arrivata anche una richiesta di ritiro delle truppe israeliane dal sud della Siria. E duro è stato anche il monito del Qatar, protagonista anche della partita di Gaza, che ha definito il raid sul campo di Ain al-Hilweh come “un brutale attacco al popolo palestinese disarmato e una violazione della sovranità della Repubblica libanese”.