Le Ragioni di Israele

Israele, la destra affascinata dalla pena di morte. Negli Usa le esecuzioni aumentano, Cina e Iran al vertice

di HaKol - 21 Novembre 2025 alle 10:05

Strumento di deterrenza del crimine o vendetta? Nel dibattito sulla pena di morte una delle vittime continua a essere il buonsenso, sepolto sotto tumuli di populismo. Qualcuno sfugge a questa tentazione, dimostrando che le montagne si possono smuovere. Nata in Louisiana nel 1939 e divenuta suora a 18 anni, nel 1982 Helen Prejean iniziò a corrispondere con Elmo Patrick Sonnier, poco più che trentenne, condannato a morte per il brutale assassinio e lo stupro di una diciottenne e l’assassinio del suo ragazzo.

Sonnier le chiese di incontrarlo nel carcere della Louisiana in cui era nel braccio della morte già da quattro anni. Nacque una frequentazione durata fino a quando fu ucciso sulla sedia elettrica. Suor Helen era presente anche in quel momento, come le aveva chiesto. Da allora, ha continuato a offrire accompagnamento spirituale ad altri condannati a morte e dopo anni di questo servizio decise di riportare quelle esperienze in un libro, Dead Man Walking, pubblicato nel 1993 quando i favorevoli alla pena di morte erano l’80% in America e il 90% in Louisiana. Nel 1995 dal libro venne ricavato un film, che guadagnò l’Oscar a Susan Sarandon, e nel 2000 un’opera, composta da Jake Heggie, che è divenuta la più rappresentata al mondo fra le contemporanee. Il mese scorso è uscita in America una nuova versione del libro, stavolta a fumetti, per avvicinare al tema un pubblico diverso.

Suor Helen ha fondato il “Ministry Against the Death Penalty” (Pastorale Contro la Pena di Morte), una piccola squadra di donne che mira a porre fine alla pena capitale “promuovendo programmi creativi, di riflessione ed educativi che risveglino i cuori e le menti, ispirino il cambiamento sociale e rafforzino l’impegno della nostra democrazia nei confronti dei diritti umani”. La strada da percorrere è ancora lunga, ma secondo un sondaggio Gallup effettuato nell’ottobre del 2024, in America i favorevoli alle esecuzioni sono scesi al 53%. La percentuale cala ulteriormente fra i giovani, in maggioranza contrari. Finalmente, i democratici sono in maggioranza abolizionisti.

L’incontro di una suora con un detenuto nel braccio della morte ha fornito un impulso imponente a livello globale su questo tema. Fra le democrazie, gli Stati Uniti continuano a distinguersi negativamente. L’anno scorso sono state uccise 25 persone in 9 stati, 22 con iniezione letale e tre per asfissia da azoto, in massima parte in Alabama, Texas, Missouri e Oklahoma. Dopo oltre un decennio, le esecuzioni sono tornate anche in Utah, South Carolina e Indiana. Quest’anno ci sono già state 41 uccisioni, di cui 15 in Florida, e altre sei sono programmate entro la fine dell’anno. É il numero più alto degli ultimi dieci anni. Dal 1977 in America ci sono state 1.648 esecuzioni. Il picco fu nel 1999, l’anno in cui vennero uccise 98 persone. Donald Trump ha sollecitato un ricorso maggiore alla pena capitale per compiacere il suo elettorato più estremista, sostenendo che sia “uno strumento essenziale per scoraggiare e punire coloro che commettono i crimini più efferati”, anche se la sua efficacia non è mai stata provata. A pochi isolati dalla Trump Tower a New York, nel dicembre 2022 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con 125 voti a favore, 37 contrari e 22 astensioni ha approvato una risoluzione sulla moratoria mondiale delle esecuzioni. È la decima approvata dal 2007, con un numero crescente di adesioni rispetto al passato ma poco effetto sulle tendenze globali.

Secondo Amnesty International, l’anno scorso nel mondo ci sono state 1.518 esecuzioni documentate, con il 92% compiuto da Iran, Iraq e Arabia Saudita. Rappresenta un incremento del 32% dal 2023. Si tratta però di una stima largamente al ribasso perché esclude Cina, Corea del Nord e Vietnam che non rilasciano cifre. Solo in Cina, che attualmente fa parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, si stimano migliaia di esecuzioni ogni anno. Si sottraggono al conteggio anche i rastrellamenti e le esecuzioni sommarie compiuti da Hamas e da altri gruppi terroristici in vari Paesi. Nonostante l’incremento degli anni recenti, negli ultimi trent’anni in tutti i continenti sono continuati ad aumentare i Paesi abolizionisti, ormai oltre il 70%. Ci sono quindi buone ragioni per sperare, accanto a segnali negativi sufficienti per suggerire di non abbassare la guardia.

Notizie negative giungono anche dalla destra governativa israeliana, che è riuscita a far passare in prima lettura alla Knesset una legge che prevede la pena di morte per i terroristi che attentano alla sicurezza dello Stato. Questo tentativo di sfruttare la tensione popolare successiva all’attacco del 7 ottobre 2023 ha ancora bisogno di due letture prima di divenire legge. Il ministro della Sicurezza Nazionale, Itamar Ben-Gvir, che si oppone alla tregua con Hamas, ha celebrato l’approvazione della proposta in prima lettura. L’idea incontra però l’opposizione di organizzazioni rabbiniche sia progressiste che conservatrici e delle associazioni per i diritti umani, perché foriera di ulteriori tensioni e probabili spargimenti di sangue.

In Israele la pena di morte non è mai stata abolita ufficialmente ma è stata applicata una sola volta nel 1962 con l’esecuzione di Adolf Eichmann. É prevista solo per crimini di guerra, genocidio o alto tradimento, e impone l’unanimità dei giudici, con possibilità di commutazione da parte dei comandi militari. Di fatto, esiste solo sulla carta. Gli accordi di pace hanno iniziato a spezzare la spessa catena di violenza nel Medio Oriente. Nelle prossime settimane il governo Netanyahu dovrà scegliere se continuare questo percorso, oppure allinearsi alle pratiche del trumpismo più estremo e delle dittature islamiste. Come ricordato spesso da suor Helen Prejean, nel Talmud è scritto che chi salva una singola vita salva il mondo intero. Potrebbe divenire la base per proporre la cancellazione della pena di morte dall’ordinamento israeliano piuttosto che la sua estensione.

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